VENEZIA ROSSO PORNO – LA STRAORDINARIA VITA DI ARISTIDE MASSACCESI, IN ARTE JOE D’AMATO, REGISTA ROMANO CON QUASI 200 FILM DIRETTI, PRODOTTI E FOTOGRAFATI TRA HORROR, SPAGHETTI-WESTERN, IL DECAMEROTICO, LA SERIE EMANUELLE NERA, LO SPAGHETTI-PORNO, IL POST-ATOMICO, LO SPLATTER: “IN AMERICA UN GENIO DELL’HORROR, IN FRANCIA UN MAESTRO DELL’EROTISMO, IN ITALIA, INVECE, LA CRITICA MI HA SEMPRE E SOLO MASSACRATO” – VIDEO

Luigi Mascheroni per “il Giornale”

 

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«Hi, I’m Joe D’Amato». Si presenta così, sbucando dalla prima inquadratura del documentario scritto e diretto da Manlio Gomarasca e Massimiliano Zanin, film-evento che la Mostra del cinema di Venezia gli dedica tra le proiezioni speciali: Inferno Rosso.

 

Joe D’Amato sulla via dell’eccesso. Imperdibile. Ma chi era esattamente Joe D’Amato? Era Aristide Massaccesi (Roma, 1936-99), regista, direttore della fotografia, sceneggiatore, produttore che a un certo punto della carriera, quando il grande cinema era firmato dagli italo-americani come De Palma e Scorsese, decise – dopo aver usato un’infilata di pseudonimi – di cambiare nome, per renderlo più americano… E un amico cinematografaro, sbirciando su un calendario che aveva appeso in ufficio, stampato dalla tipografia D’Amato, gli disse: «Chiamati Joe D’Amato».

 

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E così fu. Vuoi mettere uscire sul mercato internazionale con un nome d’arte del genere, invece che Aristide Massaccesi? Quando morì, nel ’99, i giornali titolarono sul «Re del porno». E in effetti, sì. Aveva iniziato come aiuto operatore di Jean Luc Godard e poi inventò il kolossal a luci rosse. Ma ovviamente fu molto di più, come racconta il docufilm arrivato al Lido – ed è una garanzia – presentato da Nicolas Winding Refn («L’originalità ha molti colori. E che piaccia o no, Joe D’Amato è una Supernova!»).

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Spezzoni di film, materiale di repertorio, interviste a chi lo conosceva bene: dalla figlia Francesca, «Da piccola andai a vedere il suo film, Rosso sangue, quello in cui una donna viene uccisa infilandole la testa nel forno a gas: svenni», ai suoi colleghi, da Tinto Brass a Eli Roth. Ma anche uno straordinario viaggio nel cinema d’oro, di sesso, di sangue, di soldi e di talento che fu quello degli anni Settanta.

 

Basse pretese e altissimo artigianato. Joe D’Amato – «un artigiano professionale», come si definiva – era romano, con tutto quello che l’essere romano si porta dietro in quegli anni e in quel cinema, presuntuoso («Il mio peggior difetto? La modestia. La più grande virtù? La modestia»), un fumatore strepitoso, un regista di genio, un direttore della fotografia di grande talento e un lavoratore infaticabile.

 

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D’Amato è considerato il regista italiano più prolifico di sempre, con quasi 200 film diretti, prodotti e fotografati. Horror, thriller, spaghetti-western, il decamerotico, i film in costume, la serie di Emanuelle nera con Laura Gemser, lo spaghetti-porno (il suo Sesso nero, girato nel 1978, è considerato il primo film pornografico italiano), lo zombie-movie, il post-atomico, lo splatter…

 

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«Raccontare Joe D’Amato – dicono i due registi – significa raccontare la storia dei film italiani di genere certo, ma anche la straordinaria vita di un uomo che ha sacrificato tutto per la sua grande ossessione: il cinema». Titoli culto (scelti in una filmografia sterminata): Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti (1972), La morte ha sorriso all’assassino (1973), La rivolta delle gladiatrici (1974), Emanuelle e gli ultimi cannibali (1977), che oggi si studia nelle scuole di cinema, l’inarrivabile Antropophagus, primo titolo (1980) della sua casa di produzione Filmirage, una factory romana dell’epoca.

 

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E poi l’ambiziosissimo Endgame – Bronx lotta finale (1983) fino alle mega produzioni hard-core degli anni 90 vissute, però, come una prigione: Joe d’Amato le faceva per pagare i debiti del suo fallimento come produttore (ma forse anche perché era l’unico modo per soddisfare l’ossessione che lo tormentò tutta la vita: il bisogno di calcare il set).

 

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«Massaccesi – in America un genio dell’horror, in Francia un maestro dell’erotismo, «in Italia invece la critica mi ha sempre e solo massacrato…» – ha spinto sé stesso e lo spettatore oltre i limiti morali della società, seguendo, con ostinazione e fedeltà, tre regole, che sono un po’ la sua cifra stilistica: «Stupire, scioccare, scandalizzare». Ci è riuscito. Per dire: quando girò un torture horror movie in cui a una donna veniva tagliato un seno, la scena – grazie al trucco del leggendario Giannetto De Rossi – risultò così realistica che fu denunciato insieme a tutta la troupe per omissione di soccorso e atti di libidine violenta…

 

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Nota a margine: nel documentario Massaccesi nega le voci che alcune sequenza particolarmente gore furono girate con veri cadaveri. «Erano solo frattaglie e cotenne di maiale che compravo dal macellaio sotto casa… Quel feto strappato dalla pancia della madre e mangiato dai cannibali? Era un coniglio morto…».

 

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Geniale, appunto. Del resto, per dire cosa era quel cinema e cos’ era Aristide Massacessi, basti ricordare che per quattro film erotico-esotici girati contemporaneamente nei Caraibi (poi diventati di culto), riuscì ad avere i finanziamenti dalla Banca nazionale del lavoro. E che nella sua pellicola più di «avanguardia», come diceva lui, un western che definire atipico è poco, Scansati… a Trinità arriva Eldorado, del ’72, il cattivo di turno ha un cavallo truccato come una motocicletta con fari, specchietti retrovisori e un manubrio al posto delle briglie. Ecco chi era Aristide Massaccesi, in arte – e tanta – Joe D’Amato.

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Redazione Dagospia