“GUARDAVA LE NOSTRE DONNE, GLI HO TIRATO TRE PUGNI” – FABIO GIAMPALMO, 20 ANNI, SPIEGA COME HA AMMAZZATO IL 40ENNE PAOLO CAPRIO A BITONTO, IN PROVINCIA DI BARI, COLPITO CON UNA TECNICA DA ARTI MARZIALI – LA LITE È AVVENUTA FUORI DAL BAR DELLA STAZIONE DI SERVIZIO ALLE TRE DI DOMENICA MATTINA: L’AGGRESSORE, CHE SI È COSTITUITO, È ACCUSATO DI OMICIDIO VOLONTARIO AGGRAVATO DAI “FUTILI MOTIVI” – L’AUTOPSIA DEVE ACCERTARE SE LA VITTIMA È MORTA PER I COLPI O DOPO AVER BATTUTO LA TESTA CADENDO…
Francesco Strippoli per www.corriere.it
STAZIONE DI SERVIZIO A BITONTO
Tre pugni sferrati uno dopo l’altro con quella che il pubblico ministero definirà «tecnica da combattimento». La vittima che cade e muore sul colpo, forse per aver urtato violentemente il capo sull’asfalto.
Sono le tre di domenica mattina, a Bitonto, 56 mila abitanti alle porte di Bari, in una frequentata stazione di servizio sulla provinciale che porta a Modugno dove il bar è sempre aperto. A terra rimane Paolo Caprio, 41 anni da compiere a novembre, piccolo artigiano che si occupa di cartongessi e pitturazione edile, un matrimonio che fa le bizze e una figlia di cinque anni.
A sferrare i pugni è un 20enne, si chiama Fabio Giampalmo, bitontino come la vittima, precedenti per droga e forse una certa confidenza con le arti marziali. La stazione di servizio, di notte, è l’alternativa all’affollata movida cittadina: alle tre di domenica è piena di gente. Ci sono vari gruppi.
Giampalmo è lì con la compagna e altri amici, tutti in coppia: gli uomini nel bar a giocare con le slot, le ragazze sotto il gazebo a prendere il fresco. Dentro notano Caprio staccarsi dal suo accompagnatore e avvicinarsi alle donne, forse scambiare qualche parola con loro. Giampalmo e gli altri escono, allora Caprio prima si allontana ma poi torna sui suoi passi, sembra accostarsi di nuovo al gazebo.
Il ventenne a quel punto gli si avventa contro e lo colpisce al volto, l’artigiano cade, l’ambulanza arriva poco dopo ma non c’è più nulla da fare. I carabinieri del Reparto operativo, diretti dal colonnello Vincenzo Di Stefano, grazie a telecamere e testimoni, ci mettono poco a individuare l’aggressore.
Non ci sarà bisogno di andarlo a prendere: alle 8 e un quarto il ragazzo si fa accompagnare dall’avvocato alla stazione dell’Arma. Il magistrato che indaga, Ignazio Abbadessa, ha emesso a suo carico un decreto di fermo contestandogli l’omicidio volontario aggravato dai «futili motivi» e «attraverso l’utilizzo di tecniche di combattimento tali da ostacolare la privata difesa».
IL sindaco DI BITONTO Michele Abbaticchio
Il colonnello Di Stefano chiarisce: «In questa storia non c’entra la criminalità, è una lite che si è conclusa con il più tragico degli epiloghi». Nel decreto di fermo l’indagato ricostruisce l’episodio. Caprio, dice Giampalmo al pm, «si è avvicinato per origliare cosa stessimo dicendo e ha guardato in maniera provocatoria le nostre compagne. Io mi sono alzato e gli ho detto testualmente: “Sempre avanti e indietro devi andare? Qual è il problema?”. Gli ho tirato tre pugni colpendolo al viso, l’ho visto cadere in terra e sbattere la testa sul marciapiede. Non pensando che sarebbe morto sono andato via».
Si allontanano tutti. A soccorrere l’artigiano provano gli uomini del 118, ma senza successo. Forse domani sarà eseguita l’autopsia per capire la causa della morte, se i pugni o l’urto dopo la caduta. Il 20enne, che si trova nel carcere di Bari, è ora a disposizione del gip per l’interrogatorio di garanzia. La vicenda ha scosso la comunità di Bitonto.
«Questo episodio — dice il sindaco Michele Abbaticchio — non è legato alla criminalità. Tuttavia continuo a far osservare, e l’ho già fatto molte altre volte, che le forze dell’ordine qui sono fissate in proporzione alla popolazione e non al territorio che è molto vasto. Per di più il numero di poliziotti e carabinieri è inferiore alla dotazione prevista. La tragedia di domenica fa riemergere il problema della sicurezza e dei controlli. L’ho già detto alla prefettura e al ministero dell’Interno in tutte le lingue. Ora l’unica cosa che mi rimane è incatenarmi per cercare di farmi ascoltare».