Fatto il tetto, trovato l’inganno. Introdotto il tetto al prezzo del gas, l’Unione europea non ha però risolto la crisi energetica, che continuerà anche nel 2023. upday ha intervistato Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, per analizzare i cinque pericoli più grossi che ci aspettano sul fronte energetico.

L’Unione europea ha introdotto lunedì 19 dicembre un tetto al prezzo del gas. Si innesca se il prezzo del future a un mese (contratto a termine che prevede la consegna di gas a una data stabilita e al prezzo convenuto al momento della stipula) della borsa Ttf supera i 180 euro al Megawattora per tre giorni lavorativi e se nello stesso lasso di tempo il prezzo supera di 35 euro quello del gas naturale liquefatto (calcolato in base a diversi indici). Come specificato nell’accordo, il tetto dovrebbe entrare in vigore dal 15 febbraio dopo alcune analisi preliminari condotte da enti indipendenti. Ma ha già causato una dura reazione da parte della Russia. E non è esente da problemi.

I problemi del tetto al prezzo del gas

Il presidente di Ne-Nomisma Energia Davide Tabarelli ha paragonato i Paesi europei in trattativa ai capponi di Renzo che si beccano l’un l’altro mentre dovrebbero preoccuparsi del loro comune destino. Carlo Stagnaro non cita Manzoni ma, da buon ligure, usa i pesci per spiegare uno dei difetti del price cap: “Se metto un tetto al prezzo del branzino a Milano, i pescivendoli lo portano a Sesto San Giovanni, dove i clienti lo pagano di più”. Lo spostamento delle contrattazioni sui mercati over the counter, ossia non regolamentati, è uno dei rischi. Ridurrebbe il numero delle negoziazioni sul Ttf, rischiando di renderlo più vulnerabile alla speculazione. Tornando all’esempio di Stagnaro: se a Milano rimangono solo tre pescivendoli, questi aumentano la loro influenza sui prezzi di mercato.

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Il Consiglio dell’Unione europea riconosce il rischio e chiede a due autorità europee (Esma e Acer) di monitorarlo. Un’altra incognita è rappresentata dalle condizionalità che determinano uno stop al meccanismo. Tra queste, ci sono la diminuzione netta delle transazioni al Ttf, una mancanza di gas o un repentino aumento dell’utilizzo del metano. Ma sono requisiti qualitativi: “Lasciano un’enorme discrezionalità a tutti i soggetti coinvolti: la Commissione, in parte la Banca centrale europea, l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia”, spiega Stagnaro.

La scadenza delle misure contro il caro energia del governo

Il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha ammesso che “probabilmente, tra due mesi” il governo sarà ancora “alle prese con qualche misura da fare” per mitigare il caro energia “se la situazione non si risolve, come temo non si risolverà“, ha specificato. L’esecutivo dovrà trovare i fondi per rifinanziare parte dei 21 miliardi di aiuti contro il caro energia contenuti nella Manovra. In due modi: aumentando le entrate (con nuove tasse o fondi trovati nelle pieghe del bilancio dello Stato) oppure riducendo la spesa pubblica che quest’anno potrebbe sfondare quota mille miliardi. O ancora, facendo nuovo debito. Quest’ultima mossa sarebbe però sorvegliata dagli investitori e costerebbe più che in passato, a causa dei tassi di interesse in rapida risalita.

Minori flussi di gas dalla Russia

Nel 2021, fino a ottobre, l’Italia ha importato quasi il 40% del gas dalla Russia. Un anno dopo, il 18%. Ma i flussi del 2023 saranno minori rispetto al 2022 perché l’Europa non potrà più far conto sul gas che è arrivato da alcuni viadotti che poi Vladimir Putin ha man mano deciso di chiudere: ad esempio, il Nord Stream 1 nel Baltico. “Anche se le importazioni dalla Russia restassero quelle attuali, a livello europeo riempire gli stoccaggi l’anno prossimo sarà molto più difficile rispetto a quest’anno – spiega Stagnaro, chiosando – Andremo incontro a un inverno difficilissimo“. E se Gazprom chiudesse i rubinetti? “Magari lì per lì potremmo tenere botta ma avremmo enormi difficoltà a riempire gli stoccaggi“.

Nel grafico: quanto l’Unione europea ha pagato ogni giorno il gas russo dal primo febbraio al cinque settembre.

Statistic: Estimated daily import value of Russian gas to meet demand in the European Union from February 1, 2021 to September 5, 2022 (in million euros) | Statista
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L’incognita Asia

Quanto è probabile un blocco dei flussi verso l’Unione europea? “Più l’inverno diventa freddo e lungo più lo ritengo probabile. Essendo una decisione politica, mi aspetto che Putin lo possa fare quando pensa di far male“. Un’altro fattore che potrebbe mettere in difficoltà l’Europa e quindi spingere Putin a forzare la mano è l’eventuale ripresa economica cinese. Pechino da gennaio a settembre ha ridotto le sue importazioni di gas naturale liquefatto di un quinto rispetto al 2021. Se dovesse riportarle ai livelli pre-pandemici, farebbe concorrenza all’Unione europea nell’acquisto di gas naturale liquefatto.

Il gnl, gas reso liquido per essere trasportato via nave, ha un ruolo fondamentale nella sostituzione europea del metano russo. Tanto che l’Italia ha in programma di installare due rigassificatori – oltre ai tre già in funzione – per riportarlo allo stato aeriforme e metterlo in circolo: a Piombino da aprile e a Ravenna dal prossimo anno. Tornando al gnl, i Paesi europei ne hanno fatto incetta alla fine dell’estate innescando così, a causa dell’elevata domanda, un’impennata del prezzo del gas. E c’è un ultimo elemento da considerare: “Un po’ di gnl l’abbiamo preso strapagando e l’abbiamo sottratto ad altri Paesi di cui in questo momento ci disinteressiamo completamente. Ma di cui prima o poi dovremo invece interessarci”. Pakistan e Indonesia oggi hanno problemi enormi a soddisfare il loro fabbisogno energetico, spiega Stagnaro.

Nel grafico, la classifica dei Paesi del mondo in base a quanto gas naturale liquefatto possono importare e trattare. L’Asia domina, la Cina è al terzo posto. La Spagna è il primo Stato europeo, non a caso uno dei meno colpiti dalla crisi energetica.

Statistic: Countries with largest liquefied natural gas (LNG) import capacity in operation worldwide as of 2022 (in million metric tons per year) | Statista
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Le sanzioni e le controsanzioni sul petrolio: benzina sul fuoco?

Tre provvedimenti potrebbero innescare un rincaro legato al petrolio e quindi dei prezzi dei carburanti.

In primo luogo, il 5 dicembre è entrato in vigore il tetto al prezzo del petrolio russo trasportato via mare: 60 dollari al barile. “L’obiettivo di questa sanzione del G7 più l’Australia – spiega Stagnaro – è limitare la rendita dei russi ma non far venire meno i volumi di petrolio russo”. Nei primi giorni di entrata in vigore della misura, si è verificata però una diminuzione delle esportazioni di greggio dalla Russia. Se da un lato questo riduce le entrate di Mosca, dall’altro potrebbe creare problemi di offerta a livello globale innescando un rialzo dei prezzi. Inoltre, secondo quanto ha scritto Luciano Capone su Il Foglio, da gennaio non dovrebbe venire più rinnovato lo sconto sulle accise dei carburanti introdotto a marzo dal governo Draghi. Con possibili effetti sui prezzi alla pompa.

Ci sono poi due misure che riguardano l’Unione europea. Dal 5 dicembre, i 27 si sono impegnati a non comprare più petrolio russo trasportato via mare. Dal 5 febbraio, non importeranno più nemmeno i prodotti petroliferi russi. “Se l’effetto fosse che i russi non riescono a vendere tutti i prodotti raffinati che producono, allora potrebbe esserci una scarsità“, spiega Stagnaro. E questo potrebbe far salire i prezzi dei carburanti.

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Infine, in risposta alle sanzioni occidentali Vladimir Putin ha vietato di vendere il petrolio dal primo febbraio al primo luglio a chi rispetta la sanzione del G7 con l’Australia. Annunciato anche un blocco dell’esportazione di prodotti petroliferi verso le stesse nazioni. Ma le date non sono state ancora decise. La misura non colpisce l’Unione europea che, come scritto sopra, ha già introdotto un embargo. Ma potrebbe innescare un aumento del prezzo del petrolio. E quindi far rincarare i carburanti.

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