Nelle ore in cui la Russia decideva di riconoscere le repubbliche dei separatisti nell’Ucraina orientale e di inviare soldati e mezzi militari nel loro territorio, mezza Europa ha espresso la propria condanna per quanto stava accadendo, con parole anche piuttosto dure. I presidenti delle tre principali istituzioni dell’Unione Europea hanno annunciato reazioni «ferme e determinate», il presidente francese Emmanuel Macron ha auspicato nuove sanzioni e più in generale quasi tutti i governi europei hanno espresso varie sfumature di sdegno. L’Italia ha scelto invece un atteggiamento diverso, che riflette verosimilmente la prudenza con cui sta gestendo le tensioni di questi giorni.

Poche ore dopo il riconoscimento da parte della Russia, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha pubblicato un breve e cauto comunicato sul sito del ministero in cui non si fa menzione di eventuali sanzioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha commentato la situazione soltanto nella tarda mattinata di martedì, con uno scarno comunicato stampa inviato ai giornalisti. Fonti della presidenza del Consiglio hanno detto inoltre al Corriere della Sera che nonostante l’escalation stanno proseguendo i contatti col governo russo per organizzare a breve un incontro fra Draghi e il presidente russo Vladimir Putin.

La prudenza dell’Italia di questi giorni è stata estesamente notata. Diversi osservatori europei hanno commentato l’auspicio di Draghi, appena poche ore prima che la situazione nel Donbass precipitasse, che eventuali sanzioni contro la Russia non riguardino la fornitura di gas. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è dissociata dalle dichiarazioni di Draghi durante un’intervista televisiva con CNBC. Lunedì il Wall Street Journal ha pubblicato un editoriale non firmato sulle «crepe nello schieramento occidentale» corredandolo con una foto di Draghi.

Molti si spiegano la prudenza del governo italiano con la sua nota dipendenza dalle forniture di gas naturale proveniente dalla Russia per soddisfare il suo fabbisogno energetico. Secondo i dati del ministero della Transizione ecologica, nel 2020 il 43,3 per cento del gas naturale importato dall’Italia proveniva dalla Russia, che è di gran lunga il primo fornitore di gas nel paese. Una recente stima dell’ISPI indica che l’Italia sarebbe uno dei paesi europei più vulnerabili a una eventuale interruzione delle forniture di gas naturale dalla Russia.

L’Italia ha da sempre un ruolo di mediazione politica fra i paesi dell’Europa occidentale e settentrionale e la Russia, e fra le aziende dei due paesi ci sono radicati e importanti legami. E anche nel recente passato i governi italiani si sono spesso dimostrati restii a mantenere un approccio troppo ostile nei confronti della Russia. Nel 2014, poco dopo che la Russia invase la Crimea, l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi sottolineò che il suo governo stava lavorando «per tenere aperto un forte canale di dialogo» con la Russia. Quattro anni dopo Giuseppe Conte sostenne che le sanzioni europee contro la Russia, approvate proprio per l’invasione della Crimea, erano «uno strumento da superare», e che più in generale la Russia doveva essere riammessa nel G8.

Diversi partiti che sostengono il governo Draghi, inoltre, hanno una storia di vicinanza o fascinazione per la Russia di Putin: ce l’ha la Lega, soprattutto il segretario Matteo Salvini e i suoi collaboratori più stretti; ce l’ha avuta per molti anni il Movimento 5 Stelle, e ce l’ha in parte Forza Italia, il cui leader Silvio Berlusconi è amico personale di Putin. Anche per queste ragioni, probabilmente, è difficile aspettarsi da Draghi e dal suo governo una presa di posizione più netta sulle questioni che riguardano Russia e Ucraina.

Queste resistenze non impediranno all’Italia di accordarsi con i suoi principali alleati e approvare le nuove sanzioni europee, che saranno decise con ogni probabilità martedì sera. Un veto del governo Draghi, che ha citato esplicitamente le sanzioni nel suo comunicato di martedì mattina, sembra al momento impensabile.

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