“NON SONO STATO IL MIGLIOR MARITO, LE HO CHIESTO PERDONO PER LE VOLTE IN CUI…” – DODI BATTAGLIA E L’ADDIO ALLA MOGLIE PAOLA TOESCHI: “POCHI SANNO CHE ERA UN’ATTRICE DI SPOT: ERA LA MAMMINA DEL MULINO BIANCO, AVEVA QUELLA FACCIA DA DONNA ALLA QUALE AFFIDARE I FIGLI”. NEL 2015 IN UN LIBRO LEI RACCONTAVA CHE LUI, DOPO DUE MATRIMONI FINITI, NON VOLEVA SPOSARSI PIÙ, MA CAMBIÒ IDEA MENTRE LA OPERAVANO. “POSSIBILE CHE SIA ANDATA COSÌ, MA NON LO RICORDO. L’HO SPOSATA PERCHÉ…” – IL RACCONTO STRAZIANTE DELLA MALATTIA – VIDEO

 

 

Candida Morvillo per corriere.it

 

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Dodi Battaglia è nella sua casa di Bologna. Ovunque, chitarre, spartiti. Alle pareti, dischi d’oro, di platino. Sul pianoforte, una foto in cornice ribaltata di cui si vede solo il retro, come se l’avesse abbattuta un piccolo meteorite. Lui sta in maglietta bianca, le spalle incassate. Dice: «Ogni passo in queste stanze, mi ricorda Paola e ogni immagine di Paola è una pugnalata. Sento proprio un dolore fisico al cuore».

 

 

Paola Toeschi, sua moglie, 21 anni insieme, 11 di malattia, è morta qui, a soli 52 anni, lunedì scorso. Lui, oggi, è appena rientrato da Riccione: «Ho portato la piccola a pranzo al mare. Per distrarla. Ogni giorno, cerco di farle fare qualcosa per tenerla lontana dai ricordi. I ricordi sono una pugnalata al cuore». Racconta che al funerale, qualcuno, per confortarlo, gli ha detto «almeno, ha finito di soffrire». Mi guarda: «Sa che ho pensato?».

 

 

Che cosa?

 

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«Che purtroppo, nella fine della sua sofferenza, è finita anche la mia lotta contro il suo male. Dal 2010, la mia motivazione per vivere è stata lei: la visita, la chemio, trovare un altro medico…

 

Quando se n’è andata, mi sono sentito come un pallone che si sgonfia. Ho sempre trovato impensabile la depressione, non mi assomiglia, sono combattivo, ma ora comincio a pensare cosa può provare una persona che resta senza l’amore della sua vita e magari non ha amici, non ha una figlia di 15 anni da accompagnare nel futuro. Ecco, adesso, io ho la fortuna di avere come obiettivo mia figlia. Dover andare avanti per lei è una forza enorme. Sofia è forte, è una ragazza ormai, porta con orgoglio e dignità il cognome di famiglia, ma è sempre un cuoricino di 15 anni».

 

Quanto è stata forte in questi anni, con la mamma malata?

 

dodi battaglia e la moglie dodi battaglia e la moglie

«Quando mia moglie ha scoperto di avere un tumore al cervello, le ha fatto un discorso che non saprei dire, un discorso che puoi fare a un bimbo di cinque anni. Mai i figli sono molto più intelligenti di quanto possiamo pensare: quando Paola è stata operata, Sofia le ha dato la bambola da cui non si separava mai. Le ha detto: così, in ospedale, non ti sentirai sola. Adesso, fuori dalla chiesa, mentre portavano via la bara, le ho detto: andiamo a salutare la mamma perché di mamme così belle non ce ne sono tante. Le dico sempre che deve essere felice perché ha vissuto per 15 anni con una madre fantastica: cosa te ne fai di 50 anni con una mamma che vale meno?».

 

Alle esequie, lei ha detto: «Se ne è andata una persona con una grande anima». Com’è fatta una grande anima?

 

«Brilla. Quando entra in una stanza affollata, la avverti sulla pelle. Mia Martini, con la quale ho avuto l’onore di collaborare, era così: entrava e tutti si giravano perché sentivano una vibrazione diversa e, standole vicino, sentivi la luce che emanava. La stessa cosa Paola. Chi l’ha conosciuta mi dice: che anima trasparente, che gentilezza. Per esempio, lei nelle persone non vedeva mai il lato negativo, non era stupida neanche un po’, ma non conosceva la diffidenza. Era sempre sorridente, ci è nata con quel sorriso. Pochi sanno che era un’attrice di spot: era la mammina del Mulino Bianco, aveva quella faccia da donna alla quale affidare i figli».

DODI BATTAGLIA RICCARDO FOGLI DODI BATTAGLIA RICCARDO FOGLI

 

In chiesa, lei ha detto anche: «Ho passato gli ultimi giorni della sua vita abbracciato a lei, baciandola e parlandole dolcemente».

«Anche gli ultimi due giorni, quando era in coma. Mi hanno detto: stai lì e parla, hai visto mai che le arrivi qualcosa… E così ho fatto, ma stavo già lì da 15 giorni, da quando non riusciva più quasi a parlare. Insomma, un giorno, le dicevo: ricordi quando è nata nostra figlia? Ricordi quella vacanza? Ricordi quando abbiamo cambiato casa? Le raccontavo le cose più fantastiche che una coppia innamorata fa. E mi è venuto spontaneo di chiederle perdono».

 

Perdono per cosa?

«Perché quando sei sottoposto a certi stress puoi diventare nervoso, brusco. Non sono la persona più inattaccabile, non sono stato il miglior marito, ma neanche uno dei peggiori».

 

Paola come ha vissuto la malattia?

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«Non l’ho mai vista piangere, né sentita lamentarsi né maledire la malattia. Per fortuna, il suo tipo di tumore non provocava dolori, se n’è andata senza grida o morfina. Con la malattia, aveva scoperto la fede, pregava molto. Dopo un viaggio a Medjugorje, ebbe un’illuminazione e la sua vita divenne molto dedicata alla preghiera, alla frequentazione di chiese e sacerdoti. Io ero già cattolico cristiano, per quanto non andassi in chiesa tutte le domeniche.

 

Comprendo che in certi momenti ti aggrappi alla fede, ma l’ho vista diventare una moglie diversa, una con cui non parlavi più delle prossime vacanze o potevi condividere certi discorsi. Magari le chiedevo qualcosa e lei rispondeva: scusa, sto pregando. La terza volta uno dice: mah… Quello è stato momento un pochino strano. Le sono stato accanto. Sono andato con lei a Medjugorje, ma non ho avuto lo stesso colpo di fulmine. Lì diceva messa un frate molto giovane, così in gamba e intelligente che ho chiesto di parlargli. Dico: padre, ho un problema, trovo che mia moglie sia troppo dedicata alla preghiera, io le parlo e lei pensa alla prossima messa. Mi ha detto che, nel suo stato, era normale che il rapporto fra le due cose, me e Dio, fosse sbilanciato. Me l’ha spiegato con una semplicità che mi ha pacificato».

 

Lei ha pregato?

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«Moltissimo. Da subito. Alla prima visita, ci dissero: operiamo fra due giorni, può morire sotto i ferri, può rimanere paralizzata per metà, magari non parlare più, ma possiamo eventualmente fare qualcosa per rieducarla. Da quel momento, fino all’operazione, ho pregato senza mai fermarmi».

 

Come ha scoperto la malattia?

«Una mattina, cominciò a tremarle una gamba in modo inconsulto. Andò in ospedale, la raggiunsi, ci battezzarono subito col quadro generale, ci dissero: se sopravvive all’intervento, farà un percorso di terapie dai cinque ai quindici anni che ora non sappiamo quanto e come potranno servire.

 

BATTAGLIA FACCHINETTI CANZIAN POOH BATTAGLIA FACCHINETTI CANZIAN POOH

Ci pronosticarono quello che è accaduto. Per fortuna, l’operazione andò bene, anche se una parte del tumore non poté essere rimossa. Tornò a casa dopo un mese, dopo due o tre giocava a pallacanestro, usciva con le amiche. Poi, sono stati anni di cicli di chemio e radioterapia, di alti e di bassi. Una cosa inimmaginabile. Anche perché Paola aveva 18 anni meno di me e ci avevo sempre scherzato su, dicevo: sono il vecchietto della famiglia. Temevo che me ne sarei andato via molto prima di lei».

 

Ha detto che Paola non ha mai pianto. E lei?

«Ultimamente, ho finito le lacrime. Ho visto che non c’era più niente da fare. Le parlavo, la guardavo e piangevo. Doveva tornare in ospedale per le cure il giorno dopo in cui è mancata, non ci aspettavamo quest’aggravamento».

 

Come vi eravate conosciuti?

«Ero con i Pooh a un concerto di beneficenza a Macugnaga, in Piemonte. Lei arrivò con una mia amica di lì, vidi una persona luminosa, bellissima. Avrei voluto invitarla fuori il giorno dopo, ma ero in una storia che stava per finire e ho sentito subito che donne come Paola meritano rispetto. Un anno dopo, quando sono tornato libero, un minuto dopo, l’ho cercata. Abbiamo cominciato a frequentarci in maniera pulita. È nata una storia bellissima, trasparente così come è nostra figlia».

 

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Nel libro «Più forte del male» che Paola scrisse nel 2015 raccontava che lei, dopo due matrimoni finiti, non voleva sposarsi più, ma cambiò idea mentre la operavano.

«Possibile che sia andata così, ma non lo ricordo. Sono momenti così devastanti… So che l’ho sposata perché era una donna che, se la conoscevi, volevi averla come moglie».

 

Era nata il giorno dello sbarco sulla Luna, il 21 luglio 1969, e prima che Paola entrasse nella sua vita, i Pooh scrissero La Luna ha vent’anni, in cui si dice «quella notte di vent’anni fa… è la notte che sei nata tu». Era destino?

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«Scrivendo il testo, Valerio Negrini aveva pensato alla nascita di una nuova donna, forte e consapevole… Pensi che anche mio figlio Daniele è nato un 21 luglio e così mia zia. Abbiamo fatto sempre compleanni cumulativi e c’era qualcosa di magico anche in questo».

 

Dei 140 brani che ha scritto, quali erano per Paola?

«Era dedicato a lei Romantica, un pezzo solo strumentale. Ma quando ami così, tutto quello che fai lo fai per quella persona».

 

Se pensa a lei, che scena vede?

«Io e lei sulla terrazza della casa in campagna mentre guardiamo nostra figlia a tre anni, coi boccoli biondi, giocare felice su un prato immenso. E un disegno di Sofia, che ho nascosto perché vederlo mi fa male: c’è lei piccola in mezzo a noi che la teniamo per mano. Io posso dire che Paola mi ha insegnato che l’amore può crescere. Siamo abituati ad amori che si affievoliscono.

 

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Il nostro è sempre cresciuto e voglio dire a tutti che questa possibilità c’è e dobbiamo continuare a crederci, perché la condizione di stare insieme è preziosa. Ci penso ogni volta che esco, vedo un certo ristorante, passo davanti al casello dell’autostrada che attraversavo con lei e penso che non esisterà un altro amore, che non potrò mai più essere così felice».

 

Quando le manca di più?

«Io dico a mia figlia che lei è ancora qui. Che, se la interpella, la può sentire. Facevo già così coi miei genitori che non ci sono più. Ogni volta che ho una domanda che non posso fare a un amico o a un padre confessore, la rivolgo a loro, e ora a lei. Le chiedo cose da genitore a genitore. E la risposta arriva. Magari non è lei, ma è la sua voce e la risposta è perbene come era lei».

 

E a Dio, se prega ancora, cosa chiede in questi giorni?«Non chiedo mai niente. Ringrazio solo per quello che mi ha dato. Tanto, se c’è qualcosa che può fare, lo sa meglio di me».

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Redazione Dagospia