Alessandro Giuli per “Libero quotidiano”

 

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Gli antipatizzanti lo accusano di guidare il partito dei Rolex, dell’agiatezza e degli interessi costituiti dell’imprenditoria italiana, fatto sta che Carlo Calenda risulta essere un leader politico poco coccolato alla grande stampa- soprattutto quella goscista – e, in regime di par condicio, Carlo Calenda ha un problema non da poco con le televisione pubblica e con quelle private.

 

Vederlo lo si vede, sul teleschermo, ma in dosi sempre più omeopatiche e decisamente irrilevanti rispetto all’interesse mobilitato sui social. Ragion per cui, secondo fonti informate, il fondatore di Azione e aspirante sindaco a Roma invierà a breve un’interrogazione all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) in cui chiederà spiegazioni circa l’anomalia che lo starebbe penalizzando.

 

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Pur essendo lui sia capo di un partito sia candidato in corsa per il Campidoglio, e come tale costretto a condividere spazi millimetrati con i suoi concorrenti, si ritrova tutti i giorni l’incumbent Virginia Raggi reclamizzata da Giuseppe Conte in giro per l’Italia nel suo tour di “ascolto” del popolo pentastellato di cui è divenuto pastore per decreto dell’elevato Beppe Grillo; idem per Roberto Gualtieri, sospinto (diciamo così) dal segretario del Pd Enrico Letta in ogni incontro pubblico e per Enrico Michetti sul quale converge la potenza mediatica di centrodestra effigiata da Giorgia Meloni e Salvini con forzisti al seguito.

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Di là dalle dinamiche regolatorie vigenti, sondaggi alla mano Calenda sa bene che in questo momento i suoi principali avversari sono a sinistra. La rincorsa per arrivare al ballottaggio e sfidare Michetti (con ogni probabilità sarà lui il primo piazzato) passa necessariamente per un sorpasso nei confronti di Gualtieri; posto che la Raggi arranca ancora al quarto posto.

 

TESTA A TESTA Le ultime rilevazioni demoscopiche certificano che la distanza tra i due è di circa 5 punti percentuali. Tutt’ altro che irrecuperabili. Sicché la megamacchina del Pd si sta impegnando in uno sforzo corale che all’ex ministro dello Sviluppo è negato sia dalle ristrette dimensioni del suo movimento sia dall’assenza di fiancheggiatori consanguinei. Il suo diretto rivale può invece contare sul blocco del Gruppo Gedi che ha la propria artiglieria di riferimento in Repubblica, nella Stampa e nel settimanale l’Espresso che è appena uscito con una ricognizione ruvidissima sui bilanci di Azione (“bella, forte e ricca”) irreprensibili dal punto di vista amministrativo eppure rappresentati come la cassaforte d’una scaltra lobby dotata di sontuose entrature e alte capacità manageriali: non il massimo per conquistare il favore delle plebi romane.

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Quanto alla sindaca uscente, oltre alla zona grigia nella quale riesce a promuoversi con cartelloni a corredo d’iniziative istituzionali o d’installazioni pseudo artistiche, può contare sul Fatto quotidiano e sulla sostanziale non belligeranza dei progressisti nostalgici dello schema di governo giallorosso da riproporre ai ballottaggi. Ma il punto dolente, dicevamo, è sempre quello: al netto delle analogiche maratone oratorie organizzate quartiere per quartiere (e qui Calenda va molto forte), fuori dal mainstream digitale gli spazi stanno diventando pochi e marginali.

 

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BOICOTTAGGIO Sembra che il candidato di Azione abbia anche provato a farsi invitare in tivù come leader di partito per discettare di questioni nazionali, promettendo di non pronunciare nemmeno una parola su Roma. Nulla da fare, almeno per il momento. Vedremo se e come l’Agcom valuterà l’interrogazione in arrivo.

 

Forse, per fare un esempio, potrebbe stabilire di conteggiare in quota Raggi gli spot ufficiosi di Conte, usare lo stesso metro per quelli pro Gualtieri dell’apparato dem e così via. Mentre battaglia per un allargamento delle rigide maglie di cui è intessuto il sistema della par condicio, Calenda farebbe bene a cercarsi qualche influente personalità che simpatizzi per lui pubblicamente.

 

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Nel frattempo, però, i sondaggisti insistono su due elementi incoraggianti. Primo: la maggioranza degli interpellati continua a designarlo come il favorito assoluto nel caso in cui dovesse arrivare al ballottaggio. Secondo: in questo momento il consenso accessibile alle rilevazioni è in buona parte quello relativo al voto d’opinione collegato alle liste; quando si tratterà di far emergere il quoziente sommerso degli indecisi meno ideologizzati e ancora nascosti all’ombra dell’astensione, cui dovrebbe aggiungersi un non trascurabile flottante dal voto disgiunto, potrebbero arrivare grosse sorprese. Non proprio buone per Gualtieri, a quanto pare.

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Redazione Dagospia