VENEZIA PREMIA E LA CHIESA SI INCAZZA – POLEMICHE PER LA VITTORIA DI “L’ÉVENEMENT”, IL FILM DI AUDREY DIWAN CHE DESCRIVE CON CRUDEZZA L’ODISSEA DI UNA STUDENTESSA COSTRETTA ALL’ABORTO CLANDESTINO – “AVVENIRE” TUONA: “COME SE, ALLA FINE, DEBBA SEMPRE PREVALERE UNA LETALE IDEOLOGIA FINTAMENTE PROGRESSISTA, ANCHE A SPESE DELL’ARTE” – MARIO ADINOLFI: “AVREI PREMIATO UN INNO ALLA VITA COME QUELLO DI PAOLO SORRENTINO…” – VIDEO

 

Fulvia Caprara per “la Stampa”

 

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L’eco del Leone d’oro a L’Évenement, il film di Audrey Diwan che descrive, con scene crudamente esplicite, difficili da seguire, l’odissea di una studentessa costretta all’aborto clandestino, scuote il mondo cattolico. Le dichiarazioni d’intenti della vincitrice, 41 anni, sceneggiatrice, giornalista e scrittrice, non placano dispute che potrebbero crescere con l’uscita della pellicola, a ottobre, distribuita da Europictures, con il titolo 12 settimane: «Purtroppo – tuona l’arcivescovo di Ventimiglia – Sanremo Antonio Suetta riferendosi alla Mostra – questi avvenimenti di carattere internazionale ormai sono dominati dalla logica del politicamente corretto e del pensiero unico. Sarebbe stato più logico presentare opere in grado di mettere in risalto la molteplicità degli aspetti e delle soluzioni… Mi dispiace perché non averlo fatto è un segno deteriore di civiltà… come diceva Madre Teresa una società che uccide i bambini, non può che essere votata al fallimento».

 

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Sulla legge 194, che in Italia, nel 1978, ha legalizzato l’aborto, monsignor Suetta spara a zero: «Non va difesa – dice rispondendo all’appello con cui Emma Bonino ha commentato il premio al film – perché è ingiusta: non sono dell’idea che l’aborto sia un diritto perché, in se stesso, è un omicidio».

 

 Su Avvenire.it il giornalista e scrittore Massimo Iondini paragona Madres paralelas di Pedro Almodovar a L’Événement: «Lì il vitale, seppur drammatico, incontro in una stanza di ospedale tra due partorienti pronte a mettere al mondo le loro inattese e, all’inizio, non desiderate, creature. Qui, nel film Leone d’oro, la cruda e disperata rappresentazione di una pervicace negazione della vita. Che trova il proprio abisso nella durezza di una scena di aborto clandestino. Come se, alla fine, debba sempre prevalere una letale ideologia fintamente progressista, anche a spese dell’arte».

 

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La vittoria del film, secondo Mario Adinolfi, presidente nazionale del Popolo della famiglia in questi giorni impegnato in prima linea, a Roma, nella campagna elettorale per la candidata sindaca Fabiola Cenciotti, rappresenta «l’ennesima propaganda abortista che ormai subiamo con quotidianità, per cui sembra che la libertà del nostro mondo occidentale sia la libertà di uccidere i bambini non nati e gli anziani malati o sofferenti con l’eutanasia. Questa è diventata la grande vittoria dell’Occidente». E ancora: «Francamente avrei premiato un inno alla vita come quello di Paolo Sorrentino con La mano di Dio. Per fare arte non c’è necessità di essere per forza cupi, l’esplosione della dimensione dell’esistenza umana deve essere rappresentata, come faceva Caravaggio»

 

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In tutte le sue dichiarazioni, la regista Audrey Diwan ha sottolineato l’importanza dell’incontro con il libro autobiografico di Annie Ernaux e la volontà di descrivere «il senso di libertà di questo personaggio trasversale. Anne è una ragazza che si riappropria del proprio corpo. Ho voluto seguirla nella sua evoluzione e condividere le sensazioni che si provano vivendo quel tipo di clandestinità». La regista ha anche parlato della sua personale esperienza: «Da giovane ho dovuto abortire, ma l’ho potuto fare legalmente, in ospedale, in tutta sicurezza, senza rischiare la vita. Alle generazioni precedenti questo non era concesso e, ancora oggi, è così in molti Paesi, come in Polonia. Insomma il tema è molto urgente».

 

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Sommersa dai messaggi di congratulazioni delle colleghe francesi, ma anche di donne che fanno altri mestieri, Diwan sottolinea come «oggi tanti diritti acquisiti nei decenni dall’universo femminile siano di nuovo messi in pericolo, penso che questo sia un modo per togliere potere alle donne, privarle dei diritti fa parte di una guerra di potere cn gli uomini». Al secondo lungometraggio dopo Mais vous êtes fous dl 2019, dramma familiare sul tema della dipendenza dalla cocaina, sceneggiatrice di diversi film di Cédric Jimenez, come French Connection, L’uomo dal cuore di ferro e il recente BAC Nord, sui poliziotti-giustizieri di Marsiglia, Diwan indica tra i suoi modelli «Agnes Varda, Jane Campion, Ken Loach, Hirokazu Koreeda». Alle discussioni che L’Événement continuerà a suscitare risponde con decisione: «Non voglio provocare, ma aprire un dibattito sulla libertà delle donne».

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Redazione Dagospia