“È UN’ALTRA TRAGEDIA PER EITAN. UN’ALTRA SEPARAZIONE” – SMHUEL PELEG, IL NONNO MATERNO CHE HA RAPITO IL PICCOLO EITAN, IL BIMBO UNICO SOPRAVVISSUTO ALLA STRAGE DELLA FUNIVIA MOTTARONE, È INDAGATO A PAVIA PER SEQUESTRO DI PERSONA AGGRAVATO – LA DISPERAZIONE DI AYA BIRAN, LA ZIA PATERNA DI EITAN CHE HA ASPETTATO INVANO IL RITORNO A CASA DEL BAMBINO: “PELEG È STATO CONDANNATO PER MALTRATTAMENTI NEI CONFRONTI DELLA SUA EX MOGLIE IN TRE GRADI DI GIUDIZIO”
Da “Ansa”
Smhuel Peleg, il nonno materno che ha rapito il piccolo Eitan, il bimbo unico sopravvissuto alla strage della funivia Mottarone, è indagato a Pavia per sequestro di persona aggravato. Peleg, ex militare che due giorni fa ha portato il piccolo di 6 anni in Israele dopo una visita concessa dalla famiglia paterna e dopo averlo prelevato nella casa della zia Aya Biran, tutrice legale, è stato iscritto nel registro degli indagati per sequestro di persona aggravato dal fatto che la vittima è un minorenne. Nell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Mario Venditti, si scava anche su presunte complicità di altre persone nel blitz che ha portato al presunto rapimento.
EITAN SENZA PACE
Niccolò Zancan per “la Stampa”
Alle undici e mezza di sabato mattina, un bambino di sei anni con le mani strette a un girello è uscito di casa per andare a comprare dei giocattoli con il nonno. Era una promessa. Ha salutato zia Aya, e poi le cugine: «Ci vediamo questa sera, cerco un gioco anche per voi». Quel bambino si chiama Eitan Biran, è l’unico sopravvissuto nello schianto della funivia del Mottarone. Nell’incidente ha perso i genitori, il fratello e i bisnonni: sabato ha perduto anche la sua famiglia affidataria. Perché il nonno materno, l’ex militare israeliano Shmuel Peleg, già condannato per maltrattamenti, lo ha rapito con un’operazione organizzata nei minimi dettagli. «Un blitz in totale disprezzo delle leggi italiane e di quelle comunitarie», dice l’avvocato Armando Simbari.
Il nonno ha caricato il bambino in auto, ha passato la frontiera fra Italia e Svizzera e con un volo privato decollato dall’aeroporto di Lugano lo ha portato in Israele. È cosi che il bambino di sei anni si è ritrovato al centro di una guerra fra parenti. Ma la sua casa era qui in Italia, lo aveva deciso un giudice e lo avevano confermato i tutori. La casa di Eitan Biran era questa villetta fra Pavia e le Bassa, nella frazione di Trovacò Siccomario. Era affidato alla sorella di suo padre, la dottoressa Aya Biran. Era questo il posto per ricominciare a camminare. Qui c’era il suo computer nuovo per la scuola, che sarebbe incominciata oggi.
Qui incontrava il fisioterapista e una psicoterapeuta specializzata in traumi infantili. E i compagni di classe lo chiamavano per nome, così come suor Paola Canziani della scuola Santa Maria di Canossa: «Era contento di essere rientrato fra noi, di nuovo in mezzo agli altri bambini. Si muoveva ancora con il girello, ma era sorridente. Stava meglio, zia Aya per lui era un punto di riferimento. È uno choc non vederlo in classe».
Sempre qui Eitan Biran era cresciuto con i genitori Amit e Tal e con il fratello Tom, nella sua vita da cittadino italiano: era arrivato a Pavia quando aveva un mese e diciotto giorni, tornava in Israele per le vacanze estive. «Eitan ha doppio passaporto», dice la zia Aya Biran. «Quello israeliano era nelle mani del nonno Peleg, che aveva ricevuto l’ordine dell’autorità giudiziaria di consegnarcelo entro il 30 di agosto. Ma anche quell’ordine non è stato rispettato». Ora bisogna dire una cosa importante. Dal giorno della tragedia del Mottarone, era domenica 23 maggio, la dottoressa Aya Biran non ha mai rilasciato una dichiarazione. Per lei sono stati 112 giorni di dolore e silenzio assoluto. Prima all’ospedale Infantile Regina Margherita di Torino, poi di nuovo a casa nella villetta vicino a Pavia. Mai una parola.
«Io sono sempre stata in silenzio per rispettare Eitan, pensando al suo benessere psicologico presente e futuro. Sono stata zitta anche quando sentivo le continue diffamazioni nei confronti della mia persona. Ma adesso non posso più tacere. È troppo grave quello che è successo. La mia famiglia e quella di mio fratello hanno sempre condiviso la vita quotidiana. È falso che io sia una sconosciuta per Eitan. Sono stata nominata tutrice, la nomina è stata confermata dopo molte udienze. Un giudice ha valutato tutto e sentito le parti. Ogni ricorso contro questa decisione è stato respinto».
Aya Biran ha passato la notte di sabato in questura per sporgere denuncia. Adesso è domenica, ora di pranzo. Davanti alla villetta da cui il bambino è stato rapito, per la prima volta, ecco la sua voce: «Siamo molto preoccupati. È un’altra tragedia per Eitan. Un’altra separazione. Io gli lasciavo i miei occhiali quando andavo in bagno per fargli carpire che sarei tornata».
Che cure stava facendo il bambino?
«Dal giorno delle dimissioni, il 10 giugno, è stato seguito da un’equipe multidisciplinare. Ancora in questi giorni vedeva un fisioterapista e una psicoterapeuta. Questa settimana doveva essere sottoposto a visite di controllo in ospedale».
Quando ha visto il nonno per l’ultima volta?
«Martedì 7 settembre. Poi dovevano rivedersi sabato per pranzare insieme e andare a comprare i giocattoli. Eitan è uscito con il girello e la carrozzina, doveva rientrare alle 18.30. Ma non è tornato. Ho iniziato a telefonare: nessuna risposta. Ero angosciata. Poi ho ricevuto un messaggio dalla zia: «Il bambino è a casa». Ma no, che non era a casa. La casa di Eitan è questa».
Con che auto è arrivato il nonno?
LA FAMIGLIA DISTRUTTA SULLA FUNIVIA
«Non l’ho vista. Aveva parcheggiato là dietro».
Era solo?
«Non posso dirlo. Non ho visto se a bordo ci fosse qualcun altro. Ma è gravissimo quello che ha fatto. Adesso è mio dovere sottolineare alle autorità che Shmuel Peleg è stato condannato per maltrattamenti nei confronti della sua ex moglie in tre gradi di giudizio. Inoltre chiedo alle autorità israeliane di guardare nelle cartelle cliniche pubbliche per scoprire la verità sullo stato di salute mentale e fisica della zia Gali Peleg»
La famiglia Peleg, dal canto suo, aveva dichiarato guerra in una conferenza stampa convocata alla fine di agosto: «Tengono Eitan in ostaggio, come fosse in prigione. Lo stanno completamente alienando. Non ci permettono di vederlo, se non due volte a settimana. Noi vogliamo che viva qui: Eitan deve crescere in Israele e frequentare una scuola ebraica invece di una scuola cattolica. Vogliamo adottarlo». Alle undici e mezza di sabato mattina, senza uno scrupolo nei confronti della legge italiana, l’ex militare Shmuel Peleg è venuto a rapire suo nipote di sei anni con la scusa di un giro in un negozio di giocattoli.
eitan unico sopravvissuto del mottarone tal peleg amit biran e i figli tom e eitan I genitori di Eitan Un pelouche per Eitan Ultima foto con Eitan striscioni per eitan i genitori di eitan