In quest’ultima settimana l’intero Paese è stato colpito da un’improvvisa ondata di caldo, con temperature anche fino a 30 gradi. Colpa dell’anticiclone Hannibal? In parte anche, ma non solo. I valori fin troppo alti per la stagione raggiunti in molti altri posti del mondo raccontano qualcosa di diverso e di più allarmante di un’estate italiana rovente. upday ne ha parlato con il meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli.

Un maggio così caldo non si vedeva (e sentiva, soprattutto) da quasi venti anni. L’ultima volta che in Italia sono stati raggiunti i 30 gradi già a metà maggio era il 2003, un anno rimasto nella memoria di molti per l’estate torrida che lo ha caratterizzato. Come quella volta, anche quest’anno le temperature fin troppo estive con cui stiamo facendo i conti dallo scorso week end potrebbero essere il preludio di mesi roventi.

Il vero dato allarmante però non è tanto l’estate che ci aspetta, quanto il significato che queste temperature nascondono. A soffrire il caldo precoce non sono infatti solo gli italiani. Proprio in questi giorni temperature record sono state registrate in molti altri Paesi del mondo, dai 51 gradi in Pakistan ai 40 a Marrakesh. Si tratta di dati che nel loro insieme forniscono la prova inconfutabile di un dato di fatto: il riscaldamento terrestre esiste e non accenna a rallentare la sua corsa.

Abbiamo rivolto alcune domande per aiutarci a capire meglio il quadro particolare e quello generale a Luca Mercalli, meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico.

Prof. Mercalli, l’aumento di temperature di questo mese può essere considerato ancora normale o è indice di qualcos’altro?

“Con la temperatura ormai abbiamo l’indicatore più solido dal punto di vista climatologico del riscaldamento globale. Mentre per altri eventi climatici, come alluvioni o uragani, è meno automatica l’associazione, l’innalzamento delle temperature fornisce una prova oggettiva. Anche perché sono diversi gli elementi a sostegno di questa tesi, primo tra tutti il fatto che non si tratta di un fenomeno isolato: la temperatura sta aumentando in tutto il mondo e in tutte le stagioni, con dati mai registrati prima”.

I 30 gradi raggiunti in diverse località d’Italia rientrano tra questi fenomeni?

“Quello che stiamo vivendo adesso in Italia è un caldo precoce, ma non ancora da record. Però abbiamo avuto temperature eccezionali in altri Paesi del mondo. Tanto per citare un caso, in India e in Pakistan abbiamo toccato più volte i 50 gradi, un valore record per la stagione: mai tra fine aprile e inizio maggio avevamo si erano registrati valori così significativi. Ancora, l’anno scorso abbiamo avuto i 48,8 gradi di Siracusa, la temperatura più alta mai raggiunta nella storia d’Italia e di tutta Europa. Un altro esempio, in tutt’altra parte del mondo: a giugno 2019 i termometri in Canada, nelle vicinanze di Vancouver, hanno toccato i 49,6°. Anche in questo caso una temperatura mai registrata prima.

Non ci sono dubbi: questo fenomeno è a oggi l’effetto più vistoso del riscaldamento globale, da cui poi discendono anche altri eventi estremi, come alluvioni, tempeste e uragani. Per quanto riguarda questi ultimi però, proprio perché non è la prima volta che si verificano, è più difficile interpretarli come una prova certa di un fenomeno globale, per quanto riguarda la temperatura invece abbiamo dei dati nuovi, mai registrati finora e quindi prova del fatto che qualcosa sta cambiando. L’innalzamento delle temperature del mare e lo scioglimento dei ghiacciai ne rappresentano la conseguenza visibile: gli esperti dicono che i ghiacciai non erano mai stati così piccoli negli ultimi 5mila anni”.

Per quanto riguarda invece i cambi repentini di clima e temperatura: cosa significano?

“In realtà questo fenomeno è meno inquadrabile come eccezionale. Ciò non significa che anche la variabilità climatologica non sia in parte correlata ai cambiamenti climatici moderni, ma non si può definire conseguenza dirette. Quello che conta è appunto che fa più caldo, ovunque e sempre. Dagli anni ’90 in poi è diventato evidente, anche sulla nostra pelle”.

Si parla spesso di transizione verde e proprio in questi giorni la Commissione europea ha illustrato il piano REPowerUE. Tra i suoi obiettivi c’è il potenziamento della produzione di energia verde, che entro il 2030 dovrebbe essere incrementata del 40-45%. È abbastanza?

“Purtroppo i dati ci dicono che non abbiamo intaccato in nessun modo il trend in atto. Non ci sono stati ancora cambiamenti effettivi nella gestione delle risorse, né nel nostro approccio all’ambiente. Basti pensare che il 2021 è stato l’anno con le maggiori emissioni di Co2. Stiamo affrontando il problema – o meglio non lo stiamo affrontando – alla stregua di un paziente che riceve dal suo medico una diagnosi di malattia, ma piuttosto che seguire le sue indicazioni, continua a ignorare il problema e a perseverare negli atteggiamenti che lo hanno ridotto in quelle condizioni.

Siamo davanti a due piani. Il primo, quello teorico, fatto di continui annunci e congressi, dalle indicazioni dell’Ue agli Accordi di Parigi per la transizione ecologica. E poi, abbiamo il piano dei fatti e di fatti finora non ce ne sono stati, purtroppo. Come se non bastasse, adesso l’emergenza della guerra in Ucraina ha dirottato i soldi dal campo della transizione ecologica alle armi.

A proposito degli obiettivi del REPowerUE e della proposta di rendere obbligatoria l’installazione di pannelli sui nuovi edifici, questi annunci rappresentano di certo notizie incoraggianti, ma restano pur sempre notizie. Festeggeremo quando vedremo i fatti”.

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