Diciamolo subito: la meticolosa inchiesta del New York Times – cinquanta donne intervistate nel corso di sei settimane – non rivela nulla di sconvolgente. Non c’ è una Monica Lewinsky, anche perché non c’ è (ancora) una Casa Bianca. Ma la reazione degli elettori, nei prossimi giorni, ci aiuterà a capire quanto sono cambiati gli americani. La regola sembrava chiara: non si scherza, negli Usa, sul rapporto tra uomini e donne, quando c’ è di mezzo il potere! Gli scandali politico-sessuali iniziarono nel 1797 – Alexander Hamilton, quand’ era segretario al Tesoro, si portava a letto tale Maria Reynolds e veniva ricattato dal marito di lei – e sono continuati per oltre due secoli. Hanno toccato presidenti (Jefferson, Kennedy, Clinton), candidati (Hart, Gingrich, un altro Kennedy), membri del congresso (Thurmond, Foley, Weiner), in modo assolutamente bi-partisan.
La pagina Wikipedia «List of federal political sex scandals in the United States» raccoglie 68 nomi: quasi tutti dimissionari. Poi è arrivato Donald Trump, e l’ America ha scoperto qualcosa che noi conosciamo da tempo: la faziosità politica, quella che porta a perdonare tutto al proprio campione e a crocifiggere comunque l’ avversario. Non c’ è solo l’ anomalo rapporto con le donne, già evidente durante le primarie (Trump ha detto che a Megyn Kelly, moderatrice di Fox News , «usciva sangue dappertutto»).
Ci sono le falsità e le imprecisioni con cui il candidato repubblicano condisce comizi e discorsi. I media Usa le raccolgono minuziosamente: ma senza conseguenze. Chi sostiene The Donald non cambia idea; chi lo detesta trova nuovi motivi per farlo. Accadrà anche stavolta? Il New York Times ha messo insieme dichiarazioni, confessioni, aneddoti. E ha riassunto così l’ atteggiamento di Trump verso l’ universo femminile: «In molti casi c’ era un’ inequivocabile dinamica in gioco: Mr Trump aveva il potere, la celebrità, la ricchezza, i contatti.
Anche dopo che si era comportato crudelmente con loro, alcune donne hanno chiesto aiuto per le loro carriere». Ricorda qualcosa? Fatte le debite proporzioni – l’ americano è un dilettante, in confronto – l’ atteggiamento sembra quello di Silvio Berlusconi: stessa autoindulgenza, stessa confusione tra pubblico e privato, stesso miscuglio di affetti e convenienze. Le conseguenze, in Italia, le conosciamo: i nostri standard in materia, nel corso di vent’ anni, sono profondamente cambiati.
Grazie al New York Times ora vedremo se, come e quanto la breve stagione di Donald Trump ha già cambiato l’ America. Un pronostico? Per molto meno, fino a un anno fa, un candidato avrebbe dovuto abbandonare la corsa alla presidenza. Oggi potrebbe guadagnare qualche insulto, un po’ d’ invidia e qualche voto. Speriamo non abbastanza per arrivare alla Casa Bianca. Perché sarebbe una tragedia: di qui e di là dell’ Atlantico.
Beppe Severgnini per il ”Corriere della Sera