La tratta degli schiavi dai Paesi dell’Africa atlantica verso le Americhe – il Nord America, ma anche Brasile, Cuba e altri Paesi – coinvolse, tra il 1515 e il 1865, più di 12 milioni di persone – e, tra queste, almeno due milioni morirono durante la tratta vera e propria, in catene nel viaggio verso la schiavitù. Lo schiavismo di quel periodo fu soprattutto la deportazione di intere popolazioni, le cui conseguenze si sentono ancora oggi. A livello sociale, come dimostrano le proteste che stanno agitando il 2020 degli Stati Uniti, e a livello genetico – stando a uno studio pubblicato sull’American Journal of Human Genetics, condotto da un team di ricercatori di 23&Me, società privata che si occupa di analisi genetiche.

 

Dagli archivi dei registri navali i ricercatori hanno recuperato informazioni sulle origini del “carico” delle negriere, le navi che trasportavano schiavi, all’epoca chiamate anche guineamen perché quei commerci partivano prevalentemente dalle coste della Guinea. Hanno poi messo a confronto quei dati con ciò che si può dedurre dall’analisi genetica di 50.000 volontari provenienti da entrambi i lati dell’Atlantico: lo studio ha messo in luce alcune differenze tra la composizione genetica delle popolazioni afroamericane e le previsioni elaborate dai dati storici – e individuato alcune cause negli stupri, nella fame e nelle malattie.

 

Previsione vs. realtà. Nello studio si legge che “i legami genetici tra le popolazioni che vivono nelle regioni dell’Africa da cui venivano prelevati gli schiavi e quelle americane dove sbarcavano corrispondono nella giusta proporzione col numero di individui che sono stati deportati”. Le popolazioni africane più rappresentate nel patrimonio genetico americano sono dunque quelle i cui territori sono stati maggiormente razziati dai trafficanti di schiavi: è il motivo per cui, per esempio, la maggior parte degli americani di discendenza africana ha radici in Angola e nella Repubblica Democratica del Congo.

 

Ci sono però alcune discrepanze tra la realtà e quello che il team aveva previsto basandosi sui registri navali: per esempio, c’è nella popolazione una forte componente di persone con antenati nigeriani. Sono con tutta probabilità i discendenti di schiavi arrivati nel Nord America non dall’Africa ma dai vicini Caraibi.

 

La strage del riso. Un’altra importante differenza tra le previsioni e ciò che racconta la realtà ha, se possibile, una spiegazione ancora più triste. È un fatto che tra gli afroamericani in pochi hanno legami genetici con le popolazioni del Senegambia – il territorio tra i fiumi Senegal e Gambia, che pure è uno di quelli da cui vennero razziati più schiavi da mandare verso l’America. Secondo gli esperti il motivo è il lavoro a loro assegnato: era impiegati soprattutto nei campi di riso, dove però c’era un’altissima probabilità di contrarre la malaria e dove i tassi di mortalità erano molto alti.

 

Infine, un’altra brutale curiosità. Nonostante il 60% degli schiavi portati in America fossero maschi, sono le femmine ad aver lasciato il maggiore contributo dal punto di vista genetico: tra i possibili motivi c’è lo sfruttamento sessuale di molte schiave femmine, oltre alle politiche di branqueamento (sbiancamento) applicate da alcuni Paesi del Sud America, tra cui il Brasile e Cuba, che costringevano le donne di colore ad accoppiarsi con maschi bianchi per rendere la prole progressivamente più bianca.



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