La presenza di contaminanti nei cibi che mangiamo, dalle microplastiche al mercurio, non è una novità, e i prodotti che vengono dal mare sono tra quelli più a rischio di contaminazione. I cosiddetti frutti di mare, poi, hanno un ulteriore problema: sono prodotti in poche zone del mondo e da lì vengono esportati in tutto il pianeta, spesso senza controlli approfonditi; il risultato è che è difficile sapere che cosa contengono i frutti di mare che ci troviamo sulla tavola e che magari provengono dall’altra parte del mondo. Uno studio pubblicato su Science of the Total Environment ha provato a fare luce sul contenuto “sgradito” di questa categoria di cibo, e soprattutto sulle cause della sua contaminazione, che, come quasi sempre capita in questi casi, sono riconducibili all’uomo.

Le ostriche del Myanmar. Lo studio, condotto da un gruppo di ecologi dell’università di Irvine, in California, si è concentrato sull’area costiera del Myanmar, una delle principali zone di produzione di frutti di mare da esportazione, in particolare di ostriche, che sono animali sessili (cioè che non si muovono) e dunque particolarmente sensibili all’inquinamento dell’acqua. Il team ha analizzato le ostriche che prosperano su nove diverse barriere coralline nel Myanmar, a circa 60 km dalla città costiera di Myeik, e vi ha trovato traccia di 87 specie diverse di batteri (metà delle quali considerate pericolose per l’uomo), e soprattutto di 78 diversi tipi di contaminanti: carburante, vernici, cosmetici, oltre alle onnipresenti microplastiche, che da sole costituivano quasi il 50% del totale delle sostanze estranee. 

 

Smalto e latte in polvere… L’identità delle sostanze inquinanti trovate nelle ostriche fornisce un indizio anche sulla loro provenienza: un esempio è il latte in polvere, che secondo gli autori dello studio non può che arrivare dagli scarichi fognari della vicina città di Myeik. In altre parole, non solo lo studio dimostra la presenza di una grande varietà di contaminanti nelle aree di allevamento di ostriche, ma anche che sono i nostri stessi rifiuti, scaricati in mare, a rientrare in qualche modo nella catena alimentare per poi tornare a noi. È vero che lo studio si concentra solo su un’area geografica ristretta, ma secondo gli autori i fenomeni rilevati non sono esclusivi del Myanmar: potrebbero ripetersi ovunque si stia verificando una forte urbanizzazione delle coste, alla quale dovrebbe corrispondere una crescente attenzione alla gestione delle acque di scarico, per evitare che i nostri rifiuti tornino in circolo e finiscano nei nostri piatti in compagnia di un’ostrica.

 

Un’altra azione urgente da intraprendere, soprattutto se questi risultati venissero confermati anche in altre zone del mondo, è intensificare i controlli di qualità del cibo che importiamo.

 



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