Il ministero dell’Economia e delle Finanze fa ogni anno una stima delle imposte che vengono maggiormente evase. Ecco quali sono e chi non le paga.

“La lotta all’evasione fiscale si fa dove sta davvero l’evasione fiscale: le big company, le banche, le frodi sull’Iva, non il piccolo commerciante al quale vai a chiedere il pizzo di Stato”. Questa frase della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, pronunciata a Catania in chiusura della campagna elettorale, ha scatenato molte polemiche.

Il ministero dell’Economia e delle Finanze ogni anno pubblica una relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. L’ultima – diffusa pochi mesi fa – si può consultare qui. Espone i dati dal 2015 al 2020. Gli ultimi sono però parziali e influenzati dalla pandemia: prendiamo come punto di riferimento il 2019.

La più grossa fetta dell’evasione è fatta dai lavoratori autonomi

L’Irpef, imposta sul reddito delle persone fisiche, è la più evasa d’Italia: 32 miliardi di euro solo dal lavoro autonomo e impresa (arancione nel grafico). Con questi soldi si potrebbe finanziare una legge di Bilancio. Peraltro, la percentuale non pagata è in aumento: nel 2015 su 100 euro di imposte potenziali, 65,1 venivano evase. Nel 2019 si è saliti al 68,3%.

In diminuzione è invece l’evasione dell’Iva (verde nel grafico). Ciò nonostante, è ancora la seconda più pesante: 27,7 miliardi di euro ogni anno. Nel 2015 erano 35: lo Stato in cinque anni ha recuperato 7,2 miliardi di gettito. Ma nel 2020 si faceva sfuggire ancora un quinto di quanto avrebbe dovuto incassare: peggio dell’Italia nell’Unione europea ci sono solo Romania (35,7% di gap) e Malta (24,1%).

Per quanto riguarda il canone Rai, l’evasione è crollata da quando il governo Renzi lo ha fatto pagare con la bolletta dell’elettricità in dieci rate. Nel 2016 la cifra non versata era di un miliardo di euro. Nel 2019, si è scesi a 239 milioni: lo Stato ha recuperato 738 milioni di euro. Si può verificare cliccando sulla scritta “canone Rai” nella legenda qui sotto.

Un esempio concreto

Concretizziamo questi dati: è molto più probabile non ricevere uno scontrino in un negozio di paese che nella filiale di una multinazionale. Non emettere la ricevuta permette al negoziante di tenere più basso il suo reddito ufficiale e quindi di avere un’Irpef meno onerosa da versare. Il consumatore ha invece il vantaggio di non pagare l’Iva sul prodotto comprato. La comunanza di interessi rende più difficile combattere questo tipo di evasione. Dal canto loro, le grandi aziende tendono a evadere meno (altro discorso è l’elusione) perché gli scontrini servono alla contabilità interna.

Ridurre l’evasione è fondamentale per l’attuazione del Pnrr

L’Italia si è data come obiettivo la riduzione della propensione all’evasione, ossia del rapporto tra le imposte evase e quelle potenziali. Lo ha messo nero su bianco nel Pnrr: un target prevede che, escludendo Imu e accise, questa percentuale nel 2023 dovrà essere inferiore del 5% rispetto al 2019. Secondo le ultime stime, in quell’anno era pari al 18,4%. Ciò significa che dovrà scendere al 17,48% nel 2023. Un altro target del Pnrr implica che dovrà invece arrivare al 15,64% nel 2024.

Il rapporto tra evasione e pressione fiscale negli ultimi 5 anni

Un calo c’è già stato. Nel 2015, su 100 imposte potenziali – Imu e accise sempre escluse – non ne venivano pagate 21,4. Negli anni seguenti questa percentuale è scesa fino al 18,4% del 2019. Nello stesso periodo di tempo, la pressione fiscale in Italia è scesa. Nel 2015 era al 43,1% del Prodotto interno lordo. Nel 2019 al 42,6%. Una riduzione pari a mezzo punto di Pil, ovvero 9,5 miliardi di euro. A fronte di 6,9 miliardi di euro recuperati dalla lotta all’evasione.

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