La luna di miele tra l’allora principe Carlo e Diana Spencer era finita ancor prima di cominciare. Sposati con matrimonio faraonico nel 1981, i due rappresentanti della coppia reale per eccellenza dopo la regina Elisabetta e Filippo non avrebbero potuto essere più diversi, distanti e male amalgamati. Considerazioni ex ante, perché all’epoca la fiaba di Carlo e Diana vendeva moltissimo: la loro popolarità, alimentata prettamente dalla curiosità attorno alla giovanissima principessa di Galles, riusciva a surclassare ogni questione nazionale e internazionale. Eppure la 22enne moglie dell’erede al trono i suoi malumori li esprimeva benissimo. Inutile tentare di filtrarla: bastava un abito bianco di Diana per mostrare cosa accadeva davvero dietro le quinte, e cambiare il paradigma della narrazione. Du quello che avvenne durante il viaggio di Carlo e Diana in Australia nel 1983 con lo scopo preciso di limitare il sentimento antimonarchico nel paese down under, che voleva l’indipendenza dalla Corona sulla spinta del primo ministro repubblicano Robert Hawke. Spedire i principi di Galles in visita istituzionale costrinse ad un lavoro certosino di immagine: Carlo doveva apparire più sicuro che mai. In parte l’ex erede al trono oggi re ci riuscì, anche se non portò a termine il compito più importante, convincere gli australiani a restare sotto l’egida inglese. Ma anni e anni di allenamento ai tour reali lo avevano reso un olimpionico delle apparizioni pubbliche, che gestiva con elegante diplomazia.

Diana, dal canto suo, era stata istruita per ingentilire le polemiche anche con il suo guardaroba ad hoc, ma qualcosa sfuggì inevitabilmente al controllo. E tra le cause ci fu l’abito bianco di Diana Spencer in Australia, sulla carta la perfetta simulazione di una luna di miele senza fine con il marito, che invece si ritorse contro la narrazione della coppia felice. Le prime crepe di un matrimonio che di fiabesco aveva avuto solo la cerimonia cominciavano a spuntare, nonostante la nascita del primogenito William avesse allietato la famiglia reale inglese. Diana era frastornata dal caos e dal jet leg, terrorizzata dalle folle incontrollabili che la acclamavano ad ogni estenuante apparizione, scoppiò persino in lacrime in una foto che fece storia. Ma fu anche il tour in cui mise a segno una delle sue primissime ribellioni al protocollo educativo reale decidendo di portare il piccolo William con sé. Per il tipo di madre che Diana era e voleva continuare ad essere, la presenza dei bambini era inderogabile e nessuna etichetta sulla sicurezza di Corte glielo avrebbe impedito. Anche in seguito, in diversi viaggi istituzionali, Diana volle essere affiancata da William e Harry oltre che dal marito, dando un esempio eterno e spianando la via alle scelte materne di Kate Middleton e Meghan Markle, le nuore che non avrebbe mai conosciuto. Ma in quel tour in Australia nel 1983 Diana Spencer era ancora troppo inesperta per riuscire a parare i colpi delle illazioni pubbliche. All’altro capo del mondo, la regina Elisabetta veniva descritta come “particolarmente preoccupata per la giovinezza e l’apparente timidezza di Diana”, scrisse la royal correpondent della Press Association Grania Forbes.

La famiglia reale osservava dall’interno le reazioni di Diana alla stampa, che si divideva su due binari: da un lato, l’adulazione magniloquente dovuta alla disponibilità di Diana nei confronti dei giornalisti. Dall’altro, i tabloid non le davano tregua: pochi giorni prima che partisse per l’Australia era spuntata in Inghilterra una mini inchiesta sui disturbi alimentari di Diana che aveva contribuito a metterla in pessima luce. La pressione sulla moglie del principe Carlo era alle stelle e lei cercava di dribblare come poteva ogni ipotesi e supposizione sul suo conto, ricercando l’appoggio di un partner che sembrava freezato nel suo ruolo immutabile. Ma nel giorno in cui la lunga tournée australiana prevedeva una visita a Uluru, la montagna sacra degli aborigeni, tutti i limiti dei principi di Galles emersero di colpo. Diana indossava un abito bianco chemisier apparentemente perfetto per la giornata all’aperto, con ballerine in tinta (le scarpe che indossava per non svettare troppo su Carlo) e tracolla coordinata. Diana sperava che la semplicità angelica di quell’abito l’avrebbe ripagata dalle ansie di rappresentanza, e pure dalle scottature che l’impietoso sole australiano aveva riservato a gambe e viso. In realtà, l’abito bianco di Diana si trasformò nel peggiore ostacolo alla facilitazione degli impegni, rendendole impossibile la naturalezza dei movimenti in passeggiata. Per quanto delizioso, lo chemisier strutturato era decisamente inadeguato e ad ogni soffio di vento si apriva mostrando le gambe della principessa. Diana cercò la complicità di Carlo per evitare figuracce ma il principe non fece una piega, invitandola a percorrere un pezzo di sentiero insieme a favor di fotografi: “Lei esitò, non tanto per paura di scivolare, ma perché sapeva che scendere avrebbe mostrato le sue ginocchia e la sottoveste alla stampa di tutto il mondo” riportò la cronaca puntuale del Morning Herald. Era inevitabile, di fronte alle foto dell’impaccio di Diana e dell’indifferenza di Carlo, che il corso della narrazione della loro storia cambiasse. Ironia della sorte, proprio grazie a quei fotografi che avrebbero dovuto immortalare le premure di una coppia innamorata.

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