L’Unione nazionale consumatori, sulla base dei dati Istat sull’inflazione ad aprle, ha stilato la classifica delle città e delle Regioni con i rincari maggiori d’Italia. Ecco dove il caro vita è più alto e quali sono i capoluoghi dove l’inflazione è più bassa.

L’Istat ha reso noti oggi i dati definitivi dell’inflazione di aprile, in base ai quali l’Unione nazionale consumatori ha stilato la classifica completa di tutte le città più care d’Italia, in termini di aumento del costo della vita. L’indice è calcolato non solo nelle città capoluoghi di regione o nei comuni con più di 150 mila abitanti, quindi il quadro è decisamente più ampio.

Nel mese di aprile, fa sapere l’Istituto nazionale di statistica, si stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, registri un aumento dello 0,4% su base mensile e dell’8,2% su base annua, da +7,6% nel mese precedente. La stima preliminare era +8,3%, rileva l’Istat. Il nuovo aumento dei costi, spiega l’Istat, riguarda soprattutto i beni energetici e, in misura minore, i servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona. Si attenua invece la crescita dei prezzi dei beni alimentari.

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Le città più care d’Italia

In testa alla graduatoria delle città più care, Milano dove l’inflazione tendenziale pari a +9%, pur essendo “solo” la settima più alta d’Italia, si traduce nella maggior spesa aggiuntiva, equivalente a 2443 euro per una famiglia media. Medaglia d’argento per Bolzano, che perde lo storico primato e dove il rialzo dei prezzi dell’8,5% determina un incremento di spesa annuo pari a 2259 euro a famiglia. Sul gradino più basso del podio Siena che con +9,6%, la seconda inflazione più alta d’Italia, ha una spesa supplementare pari a 2164 euro annui per una famiglia tipo.Al quarto posto Varese, +8,1%, con una stangata pari a 2136 euro per una famiglia media. Seguono Trento (+8,1%, +2120 euro), Grosseto (+9,4%, +2119 euro), al settimo posto Genova la città che, ex aequo con Brindisi, ha l’inflazione più alta d’Italia (+9,7%, +2114 euro), poi Mantova (+8,3%, +2107 euro), Como (+7,9%, pari a 2083 euro). Chiude la top ten Lecco (+8,2%, +2082 euro).

La classifica incorona anche le città meno care, ossia quelle presenti in fondo all’elenco. La città più virtuosa d’Italia in termini di spesa aggiuntiva più bassa è Potenza, con l’inflazione più bassa del Paese (+5,8%) e dove in media si spendono “solo” 1145 euro in più. Al 2° posto Catanzaro (+6,8%, +1270 euro). Medaglia di bronzo Campobasso (+7,3%, +1337 euro). Seguono, nella classifica delle meno care, Reggio Calabria (+7,3%, +1363 euro), Cagliari (+7,4%, +1390 euro), Sassari (+7,8%, +1404 euro), poi al settimo posto Bari (+8,2%, +1423 euro), Ancona (+7,2%, +1431 euro), Caserta (+7,4%, +1439 euro). Chiudono la top ten delle migliori Caltanissetta e Trapani, ex aequo con +8,1%, pari a 1545 euro.

Le Regioni più costose

Osservando la situazione a livello regionale si nota che in testa alla classifica delle regioni più “costose” con un’inflazione annua a +8,2%, il Trentino Alto Adige registra a famiglia un aggravio medio pari a 2131 euro su base annua. Segue la Lombardia, dove la crescita dei prezzi dell’8% implica un’impennata del costo della vita pari a 2079 euro, terza la Liguria, che con l’inflazione più alta d’Italia, +9,7%, ha un rincaro annuo di 2001 euro. La regione meno cara è la Basilicata, +5,9%, pari a 1142 euro, seguita dal Molise (+7,4%, +1355 euro). Medaglia di Bronzo per la Puglia (+8,6%, +1392 euro).

I principali fattori che fanno salire nuovamente l’inflazione

“Ad aprile la fase di rientro dell’inflazione si interrompe, principalmente a causa di una nuova accelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati, il cui andamento riflette un aumento su base mensile del 2,3% (che si confronta con un -3,9% dell’aprile 2022)”.

È quanto osserva l’Istat nel commento ai dati definitivi sui prezzi al consumo ad aprile, sottolineando che “nel settore alimentare, i prezzi dei prodotti lavorati, come anche quelli dei beni non lavorati, evidenziano un’attenuazione della loro crescita in ragione d’anno, che contribuisce al rallentamento dell’inflazione di fondo (che si attesta a +6,2%). Si accentua, infine, la decelerazione su base tendenziale dei prezzi del “carrello della spesa”, che e’ scesa a +11,6%”. Nel dettaglio, l’accelerazione del tasso di inflazione si deve, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +18,9% a +26,6%) e, in misura minore, a quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,3% a +6,9%) e dei servizi vari (da +2,5% a +2,9%). Tali effetti sono stati solo in parte compensati dalla flessione più marcata dei prezzi degli energetici regolamentati (da -20,3% a -26,7%) e dal rallentamento di quelli degli alimentari lavorati (da +15,3% a +14,0%), degli alimentari non lavorati (da +9,1% a +8,4%), dei servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,2%) e dei servizi relativi ai trasporti

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