Un gesto che milioni di persone ogni giorno compiono senza stare troppo a pensarci, quasi per un riflesso automatico. Un gesto che però potrebbe configurare un reato. Il primo novembre prossimo andranno a processo sette persone accusate di diffamazione per aver messo un «like» a un post di facebook considerato a sua volta offensivo. Accadrà davanti al tribunale di Brindisi ed è il primo caso del genere che verrà esaminato in un’aula di giustizia italiana mentre all’estero (ad esempio in Svizzera) i giudici si sono già pronunciati sanzionando i «mi piace» in calce a commenti diffamatori.
L’accusa di assenteismo
Il fatto scatenante risale addirittura al 2014 quando su Facebook appare un commento poco lusinghiero nei confronti dell’operato dell’allora sindaco di San Pietro Vernotico (Brindisi), Pasquale Russo e di alcuni dipendenti municipali accusati di essere fannulloni e assenteisti. Secondo il procuratore aggiunto Nicolangelo Ghizzardi non solo l’autore del post incriminato ma anche gli apprezzamenti dei lettori che hanno cliccato il «like» configurano il reato di diffamazione aggravata.
L’esperto: «Condanna difficile, manca il dolo»
«In effetti non mi risulta che in Italia ci siano precedenti di questo tipo» conferma Fulvio Sarzana avvocato e docente di diritto della società digitale all’università telematica di Nettuno. «Esiste solo un caso – prosegue l’esperto – contestato dalla procura di Genova persone che sui social misero il “mi piace” a un post contro i rom. Ma in quella circostanza è stata ravvisata la violazione della legge Mancino sull’incitamento all’odio razziale». Ma davvero può configurare un’offesa all’onore il semplice clic su Facebook? «La Cassazione – dice ancora Sarzana – ha già stabilito che un messaggio offensivo sui social può far scattare la diffamazione. Ma sul semplice “like” personalmente nutro qualche perplessità: il reato presuppone il dolo, una volontà specifica che probabilmente manca a un gesto automatico. Comunque sia, anche in questo caso occorrerà attendere una pronuncia della Cassazione». Certo, se così fosse sarebbe un fatto epocale: già oggi la polizia postale esamina ogni giorno tra le 100 e le 200 denunce per offese su Facebook; se a questo numero si aggiungessero quelle per i “mi piace” gli uffici si intaserebbero al punto tale da rendere inefficaci le denunce stesse.