Secondo il Wall Street Journal, il petrolio russo arriva negli Stati Uniti grazie al passaggio nella raffineria di Priolo Gargallo, in Sicilia. Ecco perché è così importante questo impianto e perché rischia di chiudere tra un mese, mettendo a rischio 10.000 posti di lavoro.

È uno dei dossier più scottanti lasciati in eredità dal governo di Mario Draghi al nuovo esecutivo di Giorgia Meloni. La raffineria di Priolo Gargallo, pochi chilometri a Nord di Siracusa, rischia di chiudere per la mancanza di petrolio russo. Come scrive Il Sole 24 Ore, l’impianto occupa direttamente poco più di mille dipendenti mentre quasi 1.930 sono quelli dell’indotto il cui lavoro dipende dalla raffineria. Ma considerando tutta l’area industriale siracusana sono 10.000 i posti a rischio se non si trova una soluzione. Inoltre, la raffineria copre il 20% del fabbrisogno annuale dell’Italia. A mettere al centro dell’attenzione la raffineria è stata anche un’inchiesta del Wall Street Journal, secondo la quale il passaggio in Sicilia permette al greggio russo di arrivare negli Stati Uniti rendendo quindi inefficace il divieto di importare petrolio. Per capire come si è arrivati a questo punto, bisogna fare un passo indietro.

Russia primo fornitore di petrolio dell’Italia

Consultando gli ultimi dati aggiornati ad agosto dell’Unione energie per la mobilità (l’ex Unione petrolifera, ndr), si scopre che quasi un quinto del petrolio greggio importato in Italia nel 2022 viene dalla Russia. Che è stato quindi il primo fornitore del nostro Paese. Anno su anno, questa quantità è più che raddoppiata. Il motivo? La raffineria di Priolo Gargallo, di proprietà della società svizzera Litasco a sua volta controllata dalla multinazionale russa Lukoil. Dopo l’invasione dell’Ucraina, il Paese guidato da Vladimir Putin è rimasto l’unico a rifornire le due raffinerie siracusane – Isab Nord e Isab Sud – dal momento che le banche hanno bloccato le linee di credito alla società impedendole di comprare petrolio altrove. Come mai? Per la cosiddetta “overcompliance” (ultraottemperanza): gli istituti di credito vogliono evitare rischi di sanzioni.

Il boom di importazioni del petrolio russo

Il petrolio a Priolo Gargallo arriva con il trasporto marittimo. Secondo i dati di Bloomberg sulle consegne di petrolio via nave, ad agosto in Italia è arrivato il quintuplo dei barili di petrolio consegnati prima della guerra a febbraio. Si tratta del doppio rispetto alle importazioni di Olanda, Polonia, Lituania, Francia, Finlandia, Germania, Svezia e Regno Unito messi insieme.

La denuncia del Wall Street Journal

Il petrolio che viene trattato a Priolo viene poi spedito anche negli Stati Uniti. Lo ha rivelato una videoinchiesta del Wall Street Journal. Una consuetudine industriale fa sì che il petrolio viene classificato come proveniente dal Paese dove è stato raffinato: quindi quello russo è arrivato negli Stati Uniti etichettato come italiano grazie al passaggio per la Sicilia. Le sanzioni americane prevedono infatti una esclusione per il greggio “sostanzialmente trasformato in prodotto fatto all’estero”. Dal 5 dicembre però scatterà l’embargo dell’Unione Europea sul petrolio in arrivo via mare dalla Russia. E la raffineria rischia di restare a secco.

Il tentativo del governo

Con l’avvicinarsi della scadenza, il governo ha emesso una cosiddetta “comfort letter” in cui si afferma che le società che possiedono la raffineria non sono sottoposte a misure restrittive dell’Unione europea. La lettera, inviata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, segue un incontro dei manager della raffineria con esponenti del ministero delle Imprese e del Made in Italy, rappresentanti di Intesa Sanpaolo e Unicredit (le due principali banche italiane) e uomini di Sace, la società per azioni controllata dal Tesoro specializzata nel sostegno alle imprese italiane che esportano e crescono nei mercati esteri. Proprio una garanzia da parte di quest’ultima è una soluzione sul tavolo, come ha detto il ministro Adolfo Urso. Un’alternativa potrebbe essere invece la nazionalizzazione. O ancora un’acquisizione privata. Il Financial Times ha scritto che il fondo statunitense Crossbridge Energy Partners, che ha già comprato una raffineria da Shell in Danimarca, è interessato all’impianto. Per attuare una transizione energetica.

Source link

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *