Un articolo pubblicato su Science ha messo in relazione due concetti che raramente vediamo accostati: l’ambiente e il razzismo. Esaminando oltre 170 studi già pubblicati sul tema, i ricercatori hanno analizzato l’influenza che le disuguaglianze di razza hanno su ecologia, evoluzione e biodiversità. «Il razzismo sistemico sta distruggendo il nostro pianeta, e la violenza sul prossimo è anche violenza sulla Natura», spiega Christopher Schell, capo dello studio.

Ambiente malsano. I quartieri ai margini delle grandi città statunitensi, abitati per lo più da persone a basso reddito e minoranze etniche, hanno meno spazi verdi rispetto ai quartieri più centrali, in genere abitati da persone ad alto reddito e per lo più bianchi. Meno alberi significa temperature più alte e, in generale, meno biodiversità; inoltre, attorno ai quartieri più periferici è facile che vi siano aree industrializzate, e anche discariche e siti di smaltimento: caldo, sporco e inquinamento favoriscono la presenza di animali come topi e zanzare, con conseguenze negative sulla salute e sul benessere dei residenti, com’è facile immaginare.

Ambientalismo sociale. Secondo gli autori, i problemi ambientali non dovrebbero prescindere da quelli sociali, ma includerli: costruire case sicure ed economiche e far sì che vengano abitate sempre (non lasciandole, cioè, disabitate tra un inquilino e l’altro) creerebbe maggiore stabilità ecologica per le persone, gli animali e le piante della zona; parchi e zone verdi favorirebbero la biodiversità di flora e fauna, e buone linee di trasporto pubblico tra periferia e zone di lavoro ridurrebbero le emissioni di CO2. Sembrerà banale, ma è così: migliorare il tenore di vita nei quartieri periferici, più poveri e magari popolati da minoranze etniche, aiuterebbe persino l’ambiente.



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