I resti di un animale del Cretaceo conservati in una goccia d’ambra rinvenuta nel 2016 nel Myanmar (ex Birmania) apparterrebbe a una lucertola, non a un mini-dinosauro come inizialmente ipotizzato – seppure con un certo scetticismo. Nel marzo del 2020 un articolo pubblicato su Nature aveva descritto il ritrovamento: il cranio lungo meno di 2 cm di un minuscolo animale simile a un uccello, rimasto incastrato con il becco nella resina 100 milioni di anni fa. Ora quello studio, che ipotizzava una possibile classificazione dell’Oculudentavis khaungraae come il più piccolo dinosauro mai ritrovato è stato ritrattato, come si legge in questa nota, “per evitare informazioni non accurate nella letteratura scientifica”.

L’errore. La descrizione di quel che resta dell’animale – una testa più piccola di quella di un colibrì provvista di un’articolata dentatura – è in effetti accurata, ma il fossile sarebbe appartenuto a un rettile non dinosauriano: una lucertola, come suggeriscono alcuni dati scientifici ancora non pubblicati su un ritrovamento, evidentemente più completo, molto simile a questo. Quando hanno avuto accesso alla nuova ricerca, gli scienziati dell’Università di Pechino autori del primo studio si sono convinti dell’erronea classificazione iniziale, confermando i dubbi che avevano comunque già espresso (come vi avevamo raccontato qui). Per riclassificare come lucertola l’Oculudentavis khaungraae occorrerà però aspettare la pubblicazione del nuovo studio.

 

Una decisione affrettata? Andrea Cau, paleontologo dell’Università di Parma, aveva espresso fin da subito dubbi sulla classificazione originaria: secondo lo scienziato, l’animale mostra infatti diverse caratteristiche tipiche delle lucertole, mai osservate in dinosauri volanti di quel periodo. Ma ritornare sui propri passi alla luce di migliori evidenze scientifiche è proprio ciò che caratterizza il metodo scientifico, e che restituisce un quadro il più possibile aderente al vero di quanto accaduto. Ecco perché – spiega Cau – la scelta di ritirare l’articolo è comunque discutibile: sarebbe bastato pubblicarne un altro che mettesse in luce le ultime osservazioni, anziché comportarsi come se il documento originale, che offre comunque una descrizione valida e interessante, oltre a un nuovo termine tassonomico, non fosse mai esistito.



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