Negli ultimi anni è aumentato il successo degli orologi smart, ma anche il numero delle aziende che raccolgono e analizzano i dati biometrici di chi li indossa. L’obiettivo è quello di mettere a punto sistemi che, a partire dalla rilevazione di specifici parametri, possano prevedere l’insorgere di malattie.

Non solo un gadget per appassionati di fitness

L’utilizzo dei dispositivi che misurano i dati biometrici come i battiti cardiaci o il sonno è aumentato nel corso degli anni. Secondo uno studio di Counterpoint, società di ricerche di mercato, nel corso del quarto trimestre del 2021 sono stati venduti oltre 40 milioni di smartwatch in tutto il mondo. Rispetto all’anno precedente, nel 2021 c’è stata inoltre una crescita delle vendite del 24% su scala globale.

Un articolo dell’Economist ha analizzato questa tendenza in rapporto all’impatto che essa potrebbe avere anche sulla ricerca medica e la sorveglianza di alcune malattie. A interessarsi di questi dispositivi non sono infatti solo gli utenti, ma anche le aziende farmaceutiche e i laboratori di ricerca. Come riporta il settimanale britannico, nel 2020 il 10% degli studi clinici sui nuovi farmaci ha utilizzato nelle ultime fasi delle analisi degli smartwatch per monitorare i parametri dei pazienti, rispetto al 3% nel 2016.

Le aziende farmaceutiche utilizzano questi orologi digitali per studiare, ad esempio, l’efficacia di alcune medicine per l’asma, l’artrite, l’insufficienza cardiaca, il morbo di Parkinson e la fibrosi cistica. Con questo scopo, il Mount Sinai Health System sta sviluppando un algoritmo che predice le infiammazioni intestinali, dalla colite ulcerosa al morbo di Crohn, sempre sulla base dei dati forniti dagli orologi digitali.

Quando un orologio ti salva la vita

La maggior parte degli smartwatch non è in grado di fornire misurazioni sufficientemente accurate della temperatura corporea, ma misura la frequenza cardiaca, il sonno e il livello di attività fisica. I dispositivi possono così “aiutare” anche i primi soccorsi. Lo scorso anno Eugenio Finardi ha raccontato di aver avuto un malore appena prima di prendere un volo. Il cantautore ha avuto un episodio di “fibrillazione atriale” di cui si è accorto tempestivamente grazie allo smartphone, presumibilmente collegato a uno smartwatch.

Screenshoot del post Facebook di Eugenio Finardi

Ancora, c’è stato il caso di un 33enne leccese che dopo l’attività fisica ha scoperto di avere un’aritmia grazie alle rilevazioni del suo smartwatch. Nonostante sia bene ricordare che questi dispositivi non possono sostituirsi a un vero e proprio specialista, sono sicuramente utili per ‘prendere in tempo’ un problema di salute.

Più smartwatch per chi non ha accesso alle cure

I sensori indossabili hanno anche dato il via alle sperimentazioni cliniche per quei pazienti che altrimenti ne sarebbero esclusi. Secondo l’Economist, negli Stati Uniti, dove la sanità è privata, le terapie digitali sono utilizzate da molte persone che altrimenti potrebbero non ricevere alcuna assistenza.

Questo modello di assistenza può fare la differenza anche nei Paesi più poveri, dove spesso l’accesso alle cure è limitato. Le malattie cardiovascolari sono infatti la prima causa di mortalità a livello globale e più di tre quarti di questi decessi si verificano nei Paesi a basso e medio reddito. La diffusione di dispositivi digitali in queste aree è in effetti più ampia di quanto si possa pensare: stando sempre ai dati riportati dall’Economist, nel 2021 il 54% degli indiani possedeva già un cellulare con tecnologia smart. Entro il 2026, sempre secondo il settimanale, nel Paese un miliardo di persone avrà uno smartphone e l’India ne sarà il secondo produttore mondiale.

I dispositivi utili anche durante la pandemia

Quando il corpo combatte un’infezione spesso la frequenza cardiaca aumenta. Diversi studi suggeriscono che i parametri fisiologici rilevati dagli smartwatch siano in grado di individuare con un certo anticipo anche l’infezione da coronavirus. Secondo una ricerca della Stanford University School of Medicine e del Mount Sinai Hospital di New York, sulla base di dati raccolti proprio dagli smartwatch, i dispositivi si sono rivelati in grado di rilevare (nell’81% dei partecipanti) una possibile infezione da Covid fino a 4-7 giorni prima della comparsa dei sintomi, solamente grazie all’alterazione del battito cardiaco.

Le ricerche in questo campo sono solamente all’inizio e sempre più aziende si stanno interessando. Sempre l’Università di Stanford ha sviluppato un sistema di allerta sulla base di un algoritmo che registra variazioni ‘sospette’ dei parametri e funziona con qualsiasi dispositivo indossabile. L’azienda produttrice di smartwatch Fitbit, invece, sta mettendo a punto un algoritmo che rileva il Covid-19 prima della comparsa dei sintomi.

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