medicina digitale

Uno dei 18 vincitori della XXVI edizione di uno dei più prestigiosi premi del design internazionale è la startup D-Heart che ha realizzato un dispositivo per il monitoraggio del cuore facile da utilizzare a casa e dall’aspetto gradevole, tale da trasmettere immediatamente la sensazione della semplicità di impiego

di Agnese Codignola

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Uno dei 18 vincitori della XXVI edizione di uno dei più prestigiosi premi del design internazionale è la startup D-Heart che ha realizzato un dispositivo per il monitoraggio del cuore facile da utilizzare a casa e dall’aspetto gradevole, tale da trasmettere immediatamente la sensazione della semplicità di impiego

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Una cucina. Una barca. Una lampada a Led. Una seggiola. Un souvenir di Venezia. Una vasca con tartarughe. E un dispositivo per la rilevazione domestica dell’elettrocardiogramma, estremamente facile da utilizzare. Ma, anche, molto bello. Così bello da aggiudicarsi, accanto appunto a oggetti più tradizionali come tipologia, uno dei 18 premi assegnati per la XXVI edizione del Compasso d’oro, uno dei più prestigiosi premi del design internazionale, la cui premiazione si è svolta nei giorni scorsi al nuovo Adi Design Museum di Milano, in un’apertura che precede quella ufficiale, che avverrà in novembre.

Non è la prima volta che la giuria premia cose che hanno ben poco a che vedere con la definizione più classica di design. Ma il riconoscimento dato all’elettrocardiografo di D-Heart, startup fondata dal giovane cardiologo Niccolò Maurizi, colpito da giovane da un infarto e perciò particolarmente sensibile al tema della diagnostica in emergenza e del controllo dei pazienti a rischio, e dal suo compagno di studi Nicolò Briante, che invece ha esperienza in ambito aziendale, segna probabilmente una svolta sia nel design che nella medicina digitale, e ben rappresenta l’evoluzione dell’idea stessa di bello in un ambito assai diversi da quello dell’architettura.

Spiega Edgardo Angelini, uno dei capi di Design Group Italia, studio di design fondato nel 1968, oggi nel gruppo Alkemy, con uffici a New York, San Francisco e Reykjavik, che ha aiutato Briante e Maurizi a trasformare il loro prototipo in un oggetto che oggi è venduto in 32 paesi di 4 continenti: «L’idea di realizzare un dispositivo che fosse innanzitutto facile da utilizzare a casa, per il monitoraggio dell’elettrocardiogramma, non poteva che passare da un aspetto esteriore gradevole, che trasmettesse immediatamente la sensazione della semplicità di impiego. Solo in questo modo sarebbe stato accettato da pazienti che non hanno competenze cardiologiche e che si sarebbero potuti scoraggiare o spaventare se avessero dovuto maneggiare, magari in un momento di paura, un dispositivo troppo complicato, o con una forma che richiamava gli strumenti ospedalieri».

Un elettrocardiografo, va ricordato, è composto da una serie di elettrodi da fissare in punti specifici del torace, collegati a fili che tramettono i valori rilevati a un sistema che li elabora e costruisce il tracciati. Ma i fili, cioè le derivazioni, sono tanti: 8, quando l’utilizzatore è il paziente, o 12 quando è un medico, un farmacista o un operatore con un preparazione specifica. Per questo uno dei primi problemi affrontati era proprio quello di evitare la confusione dei fili. A tale scopo, gli sviluppatori sono riusciti a inserirli in modo che siano tutti singoli, separati gli uni dagli altri, ma anche facilmente retraibili tutti insieme.

Un altro possibile ostacolo era il posizionamento corretto degli elettrodi sul torace. E, come spiega ancora Angelini, in questo caso è venuta in aiuto la tecnologia: «Grazie a una app per cellulare o tablet – chiarisce – il paziente inquadra il suo fisico e vede, evidenziati con grandi punti, dove appoggiare la singola derivazione, in modo che la rilevazione sia personalizzata in base al suo corpo. Quando tutto è pronto, preme un pulsantone virtuale e inizia a registrare: la app ha un’interfaccia intuitiva, estremamente facile da usare».



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