Cambiare tutto perché tutto rimanga com’è. Sarà questo, stando alle bozze del decreto fiscale atteso come collegato alla legge di Bilancio, il punto di caduta dell‘annunciata “abolizione di Equitalia“. Un’operazione di puro maquillage, dunque: al posto dell’odiato braccio della riscossione dell’Agenzia delle Entrate arriverà un nuovo ente pubblico dal nome più burocratico – si parla di “Dipartimento Riscossione delle Entrate” – che però seguirà le stesse regole oggi in vigore. Paradossalmente, dunque, chi ha cartelle pendenti potrà beneficiare della promessa “rottamazione” per chiudere i conti con il fisco pagando di meno (ma attenzione, per le multe servirà il via libera degli enti locali), poi tutto tornerà come prima. E va ricordato che le norme oggi in vigore, nonostante il premier Matteo Renzi abbia attribuito la colpa del “modello vessatorio” ai due padri dell’ente, gli ex ministri Visco e Tremonti, sono in buona parte farina del sacco dell’attuale governo.
Il decreto di Renzi che ha fissato gli oneri di riscossione – Per esempio è stato uno dei decreti attuativi della delega fiscale, quello su “Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione” pubblicato in Gazzetta ufficiale il 24 settembre 2015, a fissare al 6% dell’importo dovuto gli oneri di riscossione, cioè la cifra che il contribuente è chiamato a versare a titolo di “contributo per il funzionamento del servizio” e che ha preso il posto dell’aggio dell’8%. E lo stesso decreto ha lasciato al direttore delle Entrate il compito di stabilire annualmente, in base alla “media dei tassi bancari attivi”, gli interessi di mora. Quelli che ora per Renzi sono “superinteressi troppo punitivi“, a fronte dei quali è stata promessa la rottamazione delle cartelle con la cancellazione di sanzioni e more.
In arrivo una nuova partecipata pubblica che sarà battezzata “con una sigla burocratica” – “Si sceglie un meccanismo diverso non soltanto nella forma azionaria, societaria, ma anche nel metodo”, ha anticipato il premier ai microfoni di Rtl. Ma in attesa di leggere il decreto, ancora fantasma a sei giorni dal cdm che in teoria l’ha approvato, quello che emerge dalle bozze somiglia molto al “cambio di nome solo propagandistico“, a fini elettorali in vista del referendum costituzionale, evocato qualche giorno fa da Giulio Tremonti. Equitalia sembra infatti destinata a risorgere dalle proprie ceneri sotto forma di una nuova partecipata pubblica, probabilmente al 100% delle Entrate mentre oggi è controllata al 51% dall’Agenzia e al 49% dall’Inps. Solo con un’etichetta diversa, che secondo Repubblica potrebbe essere “una sigla burocratica tipo Drae, dipartimento riscossione dell’Agenzie delle Entrate”, “facile da scordare” e quindi perfetta per assicurare “un dolce oblio“. Con questo maquillage si cancella con un colpo di penna un nome odiato da molti contribuenti ma non si pone il problema dell’inquadramento dei quasi 8mila dipendenti, che hanno un contratto di lavoro di diritto privato equiparato a quello del comparto bancario, con stipendi più alti rispetto a quelli dei funzionari delle Entrate, e sono stati assunti senza concorso, per cui non possono essere fatti entrare automaticamente nei ranghi della pubblica amministrazione.
“La soppressione? Slogan per dirottare l’attenzione dai reali problemi del fisco” – A corroborare l’impressione che la cancellazione di Equitalia sia un’operazione di facciata sono anche le sigle sindacali del settore riscossione tributi, secondo cui la soppressione “è uno slogan per dirottare l’attenzione dei cittadini dai reali problemi del fisco nel nostro Paese” e “parlare di modifica della filosofia che ha ispirato Equitalia serve a dare dignità ad un’operazione di rottamazione delle cartelle che altro non è che un condono“. A proposito di condoni, non è ancora chiaro se nell’atteso decreto fiscale finiranno anche – uscendo dunque dal ddl di Bilancio, anch’esso in fase di stesura – le regole della discussa voluntary disclosure 2 mirata a far emergere i contanti nascosti nelle cassette di sicurezza. Stando a indiscrezioni, dopo le polemiche dei giorni scorsi il governo ha deciso di fare marcia indietro sulla tassazione forfettaria del 35% ed è orientato a far rientrare i valori autodenunciati nella dichiarazione dei redditi dei contribuenti, tassandoli con le normali aliquote Irpef.
Il Fatto Quotidiano