Maria Novella De Luca per “la Repubblica”

Il bouquet di fiori di campo ha i colori dell’arcobaleno, così come le cascate di riso e coriandoli che le travolgono mentre si baciano, a lungo, sulla piazza del municipio. Piangono le mamme, ridono gli amici, si commuovono le zie. «Deborah ed Elena, vi dichiaro unite civilmente ai sensi della legge 20 maggio 2016», scandisce il sindaco del paese, Fausto Tinti, e la sala blu del comune di Castel San Pietro Terme, ventimila abitanti sulla via Emilia, esplode in un applauso felice e liberatorio sulle note di Magic moments.

Eccolo il primo matrimonio gay della storia d’Italia, così almeno lo definiscono Elena Vanni e Deborah Piccinini, 45 e 46 anni, durante lo scambio delle fedi, e poco importa se tecnicamente si tratta di un’altra cosa, Elena e Deborah ieri per tutti erano «le spose», spose Rainbow, spose con i nastri del movimento omosessuale che sventolano sulla Panda gialla che le porta in piazza XX Settembre, tra i portici rosso mattone e la lapide dei caduti nella Resistenza.

Deborah ha un sorriso grande e aperto, Elena è minuta e sottile: «Il nostro amore ha vinto sulla burocrazia — racconta — Avevamo deciso questa data, il 24 luglio, molti mesi fa, e forse con un po’ d’incoscienza avevamo anche prenotato il luogo del ricevimento. Poi i ritardi, i decreti bloccati, infine la decisione del sindaco di andare avanti comunque. Ed eccoci qui, emozionate, a tenerci per mano». Con un salto in avanti forse, perché i famosi decreti attuativi tanto attesi non sono stati ancora pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, e c’è già chi accusa il primo cittadino pd di Castel San Pietro di aver voluto bruciare le tappe per aggiudicarsi la palma delle prime unioni civili dell’estate 2016.

Ma il dubbio non scalfisce né Elena, che fa la tecnica informatica, né Deborah, ragioniera, ex organizzatrice di rave party, amiche da dieci anni, fidanzate da cinque, una casa in collina con un grande giardino che d’inverno si copre di neve, e la condivisione comune del buddismo. «Se ci sarà da integrare qualcosa lo faremo, ma di certo l’atto è valido».

Ci sono le mamme delle “spose” che da ieri si chiamano suocera l’una con l’altra, nessun padre, l’intero paese che si affaccia e curiosa, al bar sotto i portici restano i perplessi, ma nulla turba la festa. Lucia, mamma di Elena Vanni, dice serena: «L’omosessualità di mia figlia non mi ha mai spaventato. Piuttosto avevo paura che soffrisse, che non trovasse un amore vero».

Perché certo non è una unione civile (o un matrimonio) la garanzia dell’amore, ma Deborah ricorda: «L’abbiamo fatto per noi e per gli altri, per i tanti gay che da anni attendono di avere dei diritti. Questa legge ci garantisce per il presente e per il futuro, potremo lasciarci i nostri beni, assisterci in ospedale, adesso andremo in viaggio di nozze in Puglia e a Parigi con il mio congedo matrimoniale. E perché adoro Elena, e lei adora me, e volevamo festeggiare con tutti la nostra storia speciale».

La sala blu del municipio è stracolma, in tanti restano sulle scale, ora è Cindy Lauper che canta, i bambini applaudono forse colpiti da un evento nuovo, due donne che si baciano e si scambiano le fedi, Deborah è vestita di verde, Elena di azzurro, «venite con quello che avete, non fateci regali, abbiamo detto agli amici, molti hanno problemi di lavoro, difficoltà economiche, non volevamo che spendessero soldi per noi».

Del resto Elena, che fa la volontaria al “Gay help” del Cassero di Bologna, oggi è in mobilità. «Hosempre saputo di essere omosessuale, prima di Deborah avevo avuto un’altra relazione seria, lei invece era stata fidanzata con degli uomini. Il nostro amore è stato inaspettato e travolgente: ci siamo ritrovate alla festa di un’amica, ci siamo guardate e abbiamo capito che la nostra amicizia si era trasformata in qualcosa di diverso e di forte».

Il sindaco Fausto Tinti legge i commi 1, 11 e 12 della legge, cita la Costituzione, sullo scranno è pronta la pergamena con i nomi di Deborah e Elena «unite civilmente »: tutto è identico ai matrimoni in Comune, difficile non chiamarle «spose». Deborah abbraccia Elena, la avvolge con il suo corpo, una è grande, l’altra è piccola: «Abbiamo scelto la comunione dei beni, e resteremo con i nostri cognomi. Noi siamo una famiglia già da tempo, figli abbiamo deciso di non averne, ma siamo felicemente zie dei bambini dei nostri amici». La prozia ultraottantenne di Deborah benedice l’amore gay, mentre il corteo delle nozze arcobaleno si sposta in un agriturismo in collina. «Le bomboniere? No, niente confetti, per i nostri inviati il dono saranno marmellate bio e scritti buddisti».