L’Unione europea investe centinaia di miliardi di euro per progetti di sviluppo nei vari Stati membri attraverso i fondi di coesione. All’Italia sono arrivati circa 60 miliardi. Ecco come sono stati spesi.

Oggi, 9 maggio, è la Giornata dell’Europa. Una ricorrenza istituita in ricordo della dichiarazione Schuman. L’allora ministro degli Esteri democristiano francese propose nel 1950 di porre sotto un’autorità comune la produzione di carbone e acciaio. Che erano stati contesi nei decenni precedenti tra Francia e Germania, perché cruciali per la produzione militare. Sulla base di questo primo impulso, si sviluppò la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, il primo embrione di quella che poi diventerà l’Unione europea. In occasione di questa Giornata, upday ha analizzato lo strumento principale con cui l’Unione europea ha investito in Italia prima del Pnrr: i fondi di coesione.

Cosa sono i fondi di coesione

“Promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme della Comunità economica europea e […] ridurre il divario tra le diverse regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite“. Queste parole dell’Atto Unico europeo (1986) segnano nascita e scopi dei fondi di coesione. E spiegano perché la maggior parte è destinata al Mezzogiorno.

Quanti fondi di coesione vengono spesi in Italia

Secondo OpenCoesione, che ha monitorato la messa a terra dei fondi del ciclo di bilancio europeo 2014-2020, Bruxelles ha finanziato per l’Italia 800mila progetti, con una spesa 59,9 miliardi di euro. Questi soldi devono essere accompagnati anche da un cofinanziamento del nostro Paese: contando anche questi fondi, la spesa pubblica complessiva è di 67,3 miliardi.

Come si spendono e chi investe i fondi di coesione

Stando ai dati aggiornati al 31 ottobre del 2022, l’Italia ha speso solo il 55% delle risorse stanziate e tre progetti su quattro sono in corso o nemmeno avviati. Si tratta di investimenti da parte dell’Unione europea per competitività delle imprese, trasporti e mobilità, occupazione e lavoro, inclusione sociale e salute, oltre che istruzione e formazione. Più di 23 miliardi – il 34% dei fondi – sono stati usati per comprare beni e servizi, 18 miliardi (il 27%) per le infrastrutture e 11 miliardi (17%) per incentivare le imprese. Il compito di mettere a terra i soldi è caduto soprattutto sulle spalle del Mediocredito centrale (che sostiene le piccole e medie imprese del Sud), il Fondo europeo per gli investimenti (con lo stesso scopo, ma a livello europeo), la Regione siciliana e l’Inps.

Fondi di coesione: le somiglianze con il Pnrr

Il quasi monopolio del settore pubblico e il ritardo nella spesa – secondo diversi osservatori, il primo ingrediente è la causa del secondo – sono due elementi che sono stati osservati anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Non a caso, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha nominato un ministro degli Affari Europei, del Sud, delle Politiche di Coesione e del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Fondi di coesione: le differenze con il Pnrr e il ruolo di Fitto

Un ruolo intagliato per Raffaele Fitto. Oltre che parlamentare europeo, è stato vicepresidente e presidente della Regione Puglia (dal 2000 al 2005). Fitto conosce bene le difficoltà di investimento degli enti pubblici della sua terra: a fine ottobre in Puglia era stato messo in circolo solo il 55% dei soldi stanziati per il settennio 2014-2020. Se un ritardo simile fosse stato accumulato nell’attuazione del Pnrr, la Commissione europea avrebbe probabilmente bloccato lo stanziamento dei fondi. Ma i fondi di coesione non sono finanziati con debito comune europeo: il controllo dell’esecutivo di Bruxelles è quindi meno stringente e più legato a fattori come il rispetto dello Stato di diritto che agli obiettivi di spesa raggiunti.

Cosa si è finanziato: raddoppio della ferrovia Palermo-Messina

Al Sud 3.956 imprese hanno potuto avere più soldi a condizioni agevolate grazie alla cartolarizzazione – la vendita a terzi – dei debiti che avevano contratto con alcune banche. Un esempio è la ferrovia Palermo-Messina, che verrà raddoppiata per un tratto lungo 20 chilometri. Infine, 1,4 miliardi di euro sono stati investiti nel Fondo di garanzia statale per le piccole e medie imprese che ha permesso a 125.000 aziende di ricevere finanziamenti dalle banche restando così a galla durante l’emergenza pandemica.

E questi progetti, i tre più onerosi del ciclo 2014-2020, cubano 5,4 miliardi di euro finanziamento sui 67 totali.

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